Leggo (R. Buffoni) – Non c’erano riusciti Amadei, Losi, Conti, Falcao e Di Bartolomei: nella storia della Roma è sempre stato più importante lo stemma sul petto dei nomi (e numeri) scritti sulla schiena. Nemmeno a Dino Viola e Franco Sensi, i presidenti dei due scudetti dell’era moderna, è permesso stare sul primo gradino del podio. Lì c’è solo Francesco Totti: 300 gol, chissà quante giocate da fuoriclasse e una sola maglia. Così il capitano si è guadagnato un posto sotto la Lupa, accanto a Romolo e Remo.
Accanto alle 39 candeline, al muscolo dolorante e al terzo fiocco (azzurro o rosa?), spunta la domanda che toglie il sorriso e bagna gli occhi: è arrivato il momento dell’addio? Forse Totti non se lo sta chiedendo da ieri, ma certo l’infortunio ha fatto salire i decibel del fastidioso fruscio dei titoli di coda su un colossal da Oscar. Il destino ha voluto che l’ennesimo spunto da fuoriclasse fosse spento dal dolore. Quel muscolo, ferito due anni fa nel pieno del Rinascimento giallorosso dopo la caduta del 26 maggio, lo ha tolto di scena proprio quando il ko a Dzeko gli avrebbe riversato sulle spalle, ancora una volta, le sorti della Roma. Forse stavolta il destino non è stato né cinico, né baro ma ha soltanto avuto rispetto – più di altri – per il trofeo più scintillante della bacheca giallorossa.