La Repubblica (M.Pinci) – Il nastro e la carta erano già stesi intorno alla preda. Mancava solo il fiocco a Josè Mourinho per annodare il Napoli in un nuovo pacchetto: come un anno fa, stessa partita, stesso identico copione e medesimo risultato. E invece no. Stavolta la bellezza non è rimasta intrecciata nelle maglie del risultato ad ogni costo. Ma s’è manifestata radiosa in un tuono che ha fatto sussultare anche lo stadio Olimpico.
Alla fine il tabù è crollato. Spalletti ha battuto Mourinho per la prima volta dopo sei tentativi andati a farsi benedire: la prima volta, era il 2008, gli costò la Supercoppa italiana, che la sua Roma perse ai rigori. L’ultima, un anno fa al “Maradona”, fu forse la vera resa in un campionato a velocità alternata. Ora l’allenatore del Napoli si è preso la vittoria più importante del suo campionato. Perché, con il ko dell’Atalanta, segna il primo, vero allungo in classifica: più tre punti sulla seconda, quelli presi nello scontro diretto col Milan secondo a San Siro. Perché sono 11 vittoriedi fila (tra campionato e Champions), ocme nel 1986, all’alba del primo scudetto.
E perché la squadra di Spalletti ha dimostrato di saper vincere anche quando non irradia luce abbagliante: aveva segnato 20 gol nelle ultime 5 partite. Ne è servito uno più pesante di tutti quelli messi insieme, per questo 1-0. Contro una Roma che aveva una sola strategia: mettere le ganasce alle macchine da gol del Napoli. Mourinho, dopo aver ripetuto alla nausea che la sua non è una squadra difensiva, ha deciso preventivamente di rinunciare completamente alla possibilità di fare un gol. Nemmeno un tiro in porta, vuol dire l’applicazione sistematica di una strategia precisa, portare l’avversario su un terreno inadatto alle sue gomme. I 9 ammoniti della partita sono la denuncia di una scelta consapevole.
Con l’unica variazione sul terma affidata al lancio per Zaniolo: la sua sfida con Juan Jesus è tutto ciò che ha alimentato timide speranze per nella Roma incapace di segnare da quando non ha più Dybala: quell’abbraccio nel tunnel tra i due è sembrato l’incrocio dei guantoni fra due pugili prima del gong. Ma quando ha sostituto Abraham, Josè ha praticamente tolto al chiave di sicurezza alla serratura che aveva costruito: da quel momento, la sua squadra s’è leterralmente consegnata, incapace di tenere più un pallone.