Il Messaggero – È il privilegio dei grandi: inventare nomi capaci di rimanere in volo nella storia. Ecco, il Barcellona è un grande club, dispone di fuoriclasse più che di buoni giocatori e coltiva smisurate ambizioni. Ora, quindi, è pronto per incidere la propria firma, ancora una volta, nel mito e nella leggenda del pallone. Dopo aver sciolto parole come «triplete» e «manita» nel bicchiere del nostro dire, il Barça adesso sogna l’ennesima acrobazia: il «sextete». Cos’è?, ci si chiederà. Facile; ma difficilissimo da centrare: il sextete è una sestina di trofei vinti in un unico anno solare.
Insomma, un capolavoro piovuto dal mondo delle fiabe. È complicato pensarlo, figurarsi conquistarlo. Eppure. Eppure il Barça di Luis Enrique si è allineato alla rotta esatta per completare l’impresa. Perché il 17 maggio scorso si è aggiudicato la Liga, il 30 maggio la Copa del Rey, il 6 giugno la Champions League e l’altro ieri la Supercoppa europea. È a quota quattro, ma all’orizzonte appaiono già i prossimi appuntamenti con l’infinito. Domani e lunedì, ad esempio, i blaugrana sfideranno l’Athletic nelle finali della Supercoppa spagnola, mentre tra il 16 e il 20 dicembre parteciperanno alla Coppa del mondo per club in Giappone.
Con due titoli, Luis Enrique, probabilmente un po’ a sorpresa, eguaglierà lo splendore raggiunto da Pep Guardiola nel 2009. Nessuno mai è arrivato tanto in alto nella storia del pallone, e nessuno mai potrà superare il confine tracciato dal Barça di Pep. O forse sì: a migliorare tutta questa magnificenza potrebbe ambire giusto una squadra inglese o francese, ma soltanto perché in Inghilterra e in Francia si giocano due coppe nazionali l’anno, e non una come accade in Italia, in Spagna e in Germania.
STILE E STELLE – Perfetto oltre ogni fantasia, il Barcellona di Guardiola deliziava avversari e tifosi, ricamava calcio, riempiva gli occhi di meraviglia, superava i sogni e volava oltre le aspettative. In una parola: incantava. Come tutte le eccellenze, non sarà replicabile: nonostante questo, Luis Enrique ha saputo allestire una formazione degna del paragone, se non nelle trame, almeno nella grandiosità dei risultati.
Ha affondato generosamente le mani nel patrimonio del club e ha fondato l’intelaiatura della squadra indovinando la via di un proprio stile, ben suffragato, va detto, da campioni come Leo Messi, Iniesta, Suarez e Neymar. L’affinarsi dei sincronismi pareva un traguardo lontano, ma l’ex romanista Luis ha avuto l’umiltà di scendere dal relitto di certi oltranzismi, e di dominare la tattica, e la tecnica. «E ora, sì, sogniamo un altro sextete», ha sussurrato Iniesta.
IL DUBBIO – E così, rinnovandosi alcuni cardini della squadra, con il tempo è cambiato anche lo stile del gioco. Addio manovre orizzontali, movimenti «a ricciolo» in fase di possesso e recupero forsennato del pallone: adesso è venuto il momento del gioco verticale, del contrassalto, della palla consegnata a una delle stelle, lì davanti. Nelle ultime ore la scena blaugrana l’ha monopolizzata però Pedro, il folletto che ha regalato la Supercoppa ai catalani contro il Siviglia (5-4).
Aveva preparato le valigie per approdare al Manchester Utd, e soltanto l’indisponibilità di Neymar lo ha costretto a rinviare il viaggio. «Ma io non voglio lasciare il Barça, vorrei solo giocare di più», ha confidato. Ad accendere la polemica era stato il segretario del club Robert Fernandez. «Ha chiesto lui di andar via», aveva svelato. Mettere ancora la firma sul sextete, però, sarebbe una favola.