Pagine Romaniste (F. Belli) – “Raramente un artista è stato un eroe. Più spesso vive isolato e come un timidissimo coniglio”, diceva il compianto Fabrizio De Andrè. Ed è timido Giacomo Losi, però è tutto fuorché un coniglio. Non lo era neanche a 8 anni, quando in piena notte ha visto degli squadristi portargli via il padre. “Stai tranquilla”, dicevano alla madre, “lo mandiamo a lavorare per la patria e sarai anche fortunata, perché ti manderà tanti bei soldini”. Lavorare, per quei soldati, significava scavare fossati e recinzioni intorno a un campo di concentramento. Inutile dirlo, quei bei soldini a casa non arriveranno mai. Non era timido neanche a 10 anni, quando in cima alla Rocca Sforzesca di Soncino portava bombe e nastri di mitragliatrice ai partigiani. Erano tempi duri e i bambini della sua età passavano più tempo nei rifugi che tra i banchi di scuola. Negli stessi anni quel bambino scopre anche l’amore per il calcio e inizia a muovere i primi passi nella squadra del paese d’origine, per poi passare alla Cremonese. Nel 1954 si lega alla Roma, dove militerà per 15 anni diventandone pian piano titolare, capitano e idolo. Difensore destrorso, ha giocato anche terzino e libero. Non era molto alto ma era agile e bravo nell’anticipo, una vera spina nel fianco per ogni attaccante. Poco dopo diventa capitano e nel 1961 accade qualcosa che lo renderà un immortale mito giallorosso. Nasce una storia che sembra più una leggenda, una di quelle che cambia forma e si arricchisce di particolari, alcuni bizzarri, ogni volta che viene raccontata.
La nascita di “Core de Roma” e la colletta del Sistina
L’8 gennaio la Roma affronta la Sampdoria in Coppa Italia e la gara è ferma sul 2-2. Giacomino ha uno strappo all’inguine ed è costretto a spostarsi sull’ala destra, giusto per far numero visto che la squadra è già in inferiorità numerica. All’epoca non sono previste sostituzioni e qualsiasi altro tranne lui sarebbe uscito. Ma non lui, che a 8 anni si è visto portare via il padre da uno squadrone infame della morte. Resta in campo, c’è un calcio d’angolo, e il resto lo racconta direttamente lui: “… Lojacono colpi’ la sfera, il pallone compi’ una traiettoria e arrivo’ alla mia portata: raccolsi tutte le forze e spiccai il volo sulla gamba buona. Anticipai Bernasconi e insaccai di testa. Ancora adesso mi chiedo dove trovai la forza necessaria”. Dopo questo episodio i tifosi lo soprannominano “Core de Roma”, un vero e proprio romanista padano. Un cuore grosso, mezzo giallo e mezzo rosso anche quando, tre anni dopo, partecipa direttamente alla colletta del Sistina raccogliendo lire tra i tifosi. Come troppe storie d’amore però, anche quella tra Losi e la Roma finisce in freddezza. Viene infatti ceduto a costo zero per volontà del mago Herrera, che nella Capitale in realtà di magie e conigli dal cilindro ne ha tirati fuori ben pochi. E’ questa la sconvolgente freddezza con cui la razionalità mette il punto, e va a capo.