La Repubblica (F.Intorcia) – Fabio Capello, ex mister, è stato intervistato dal quotidiano su tutto quello che gira intorno al gioco del calcio. Queste le sue parole:
Fabio Capello, le manca la panchina?
«No, ho smesso, non torno. Faccio passeggiate, vedo mostre d’arte contemporanea, guardo tante partite, le commento per Fox Sports. Mi piace, cominciai nell’82 per Telemontecarlo, l’ho fatto anche in Rai. Nelle mie critiche cerco di essere squisitamente tecnico, i colleghi capiscono che non mi baso su simpatie e antipatie. Almeno spero».
Sabato la A riparte con Juventus- Milan, ma non è una sfida scudetto.
«Sembrerebbe di no, oggi. Ma il fatto che ci sia tanta competizione in testa può aiutare anche chi insegue. La Juventus ha un’ultima chance per rientrare, ma deve vincere tutti gli scontri diretti. Almeno, gli ottavi di Champions sono quasi al sicuro, può concentrarsi sul campionato per qualche mese. Quanto al Milan, è un cantiere: ha bisogno di tempo, non si riesce a vedere in campo la grinta che vorrebbe il suo allenatore. Eppure, fra i tecnici in circolazione, mi riconosco proprio in Mihajlovic, per la sua determinazione».
Nel ‘91 Berlusconi puntò su di lei che era quasi un debuttante, per il dopo Sacchi. Ci ha riprovato con Inzaghi e Seedorf ed è andata male.
«Ma Berlusconi sapeva di me molte più cose, io avevo lavorato tanti anni nel vivaio, frequentato dei corsi, guidato la squadra per cinque gare portandola in Coppa Uefa. Con me non fu un salto nel buio».
Come spiega la falsa partenza della Juventus?
«Gli addii di Tevez, Vidal e Pirlo hanno scalfito la leadership, ma questi tre uomini erano anche decisivi per sbloccare le partite più difficili: Tevez l’uomo della scossa, Vidal del break e dell’incursione al tiro, Pirlo della precisione nei piazzati, che quest’anno la Juventus invece fatica a sfruttare. Ci sono giovani di qualità ed energia, è una stagione di transizione, basterebbe aspettare. Il problema è che alla Juventus aspettare è un verbo che non piace».
Quando pesa il 10 su Pogba?
«Ma non l’ha scelto lui? E poi in campo non va la maglia, ma l’uomo. Il resto è un fattore psicologico. Piuttosto, ricordo che finora non ha quasi mai avuto Marchisio e Khedira al suo fianco. Con loro ha giocato molto meglio ».
La frenata della Juventus ha aperto lo spazio al campionato più equilibrato degli ultimi anni. Anche il più divertente?
«Sì, sembra d’essere tornati ai miei tempi, quando erano in sette a partire per lo scudetto. I fattori sono diversi: i progressi continui della Roma, la grande crescita del Napoli, la maturazione della Fiorentina che dopo aver fatto bene con Montella adesso con Paulo Sousa ha preso coscienza di essere una grande e di avere tutte le carte in regola per essere davvero protagonista. E poi è tornata l’Inter, come ho detto più volte Mancini è bravissimo a fare mercato e costruire una squadra. La sta ancora assemblando, ma intanto questi risultati positivi gli garantiscono il riparo dalle polemiche: lavora tranquillo».
In testa ci sono le due squadre con la percentuale più alta di possesso palla.
«Liedholm diceva: finché abbiamo la palla noi, non ce l’hanno loro. È un dato positivo, ma non come valore assoluto: va sempre interpretato. La Fiorentina fa possesso con il baricentro molto alto, va a caccia del pallone più rapidamente. L’Inter è aggressiva ma nella sua metà campo, ha degli sbocchi offensivi diversi. Il Napoli recupera tanti palloni e verticalizza subito».
Sarà l’anno della Roma?
«A inizio campionato ho detto che non poteva più nascondersi, con Dzeko e Salah deve puntare allo scudetto, non ha più scuse, e Garcia può farcela anche se l’ambiente di Roma non ha mezze misure, passa facilmente dalla grande euforia alla profonda depressione. La sfortuna, chiamiamola così, è che ora che la Juve si è attardata, ci sono quattro squadre alla pari».
Diceva della Fiorentina.
«Bisogna dar merito a Pradé di aver fatto un’ottima campagna acquisti. È una squadra molto bella a vedersi. Sono contento particolarmente per Bernardeschi: in estate avevo indicato lui e Romagnoli come i giocatori che mi intrigavano di più».
Le piace Sarri?
«È un personaggio che ha le idee chiare ma non si è fossilizzato su una sola di esse. Ha anzi avuto l’intelligenza di cambiare modulo, di capire che rosa avesse in mano. Il vino si fa con l’uva che raccogli: lui voleva produrre una certa bottiglia, poi ha capito che aveva un’uva da spumante, con le bollicine di quei signori lì davanti. E ha dato solidità alla difesa, con il fondamentale ritorno di Reina. Il fatto di recuperare palla subito va poi indubbiamente a vantaggio della fase difensiva ».
E in Champions chi vede favorite?
«Real, Barcellona e Bayern arrivano sempre in fondo. Ma attenti al City di Agüero, quest’anno è più solido. E non considerate fuori dai giochi Mourinho: se il Chelsea recupera gli infortunati, può dare fastidio a tutti»
La Nazionale intanto è reduce dalla sconfitta in Belgio.
«Io ho fiducia in Conte, sta facendo un buonissimo lavoro. In particolare mi è piaciuta la decisione di lasciare fuori chi non ha lo spirito azzurro. Vi racconto un particolare: nell’86 Berlusconi mi mandò in Spagna, voleva che studiassi il Real per imitarlo: “Vai e spiegami perché vince sempre in Europa”. Dopo dieci giorni a Madrid, stilai una relazione di due parole: camiseta blanca. Al Real per meritare quella maglia devi prima di tutto rispettarla».
La favorita per l’Europeo?
«È presto, ma la Francia i tornei che organizza li vince quasi sempre».
Come risolverebbe la crisi dei vivai italiani?
«Ormai prendiamo tanti stranieri anche per la Primavera, è un dato di fatto. Gli interessi del club e della Nazionale non convergono. Per un club, conta solo avere in casa il futuro, indipendentemente dalla nazionalità. Però si può investire nei migliori allenatori e nelle migliori strutture. In chiave azzurra, invece, bisognerebbe organizzare dei raduni a scadenza fissa nelle regioni per selezionare i talenti. Poi, impostare il gioco nelle rappresentative azzurre con un solo modulo, mi pare che Conte lo abbia già chiesto. Infine, c’è un altro problema: la lenta maturazione dei nostri ragazzi. In Italia il salto dalla Primavera alla prima squadra è troppo grande. In Spagna esistono le seconde squadre, a 18 anni vai al Real B o giochi in Segunda Division. Da noi a vent’anni sei in Primavera, non è un campionato competitivo. E non cresci mai».