La Repubblica (E. Sisti) – Incredibile, ma col Lecce non è mai una partita come le altre. Metteteci quello che volete, il presente, il passato, oppure una via di mezzo fra i due. Lo sanno tutti che alzando gli occhi al cielo, quando il Lecce passa dalle parti della Roma, si potranno sempre individuare minacce. Il 20 aprile del 1986, com’è noto, si consumò una specie di tragedia.
Ecco perché anche se stasera (ore 21 su Canale 5) si giocherà soltanto un ottavo di finale di Coppa Italia, mentre il Lecce è in B, qualcosa, fatalmente, riporterà indietro le lancette dell’orologio e i pensieri degli innamorati romanisti. Quando dici Lecce vedi le streghe. Passano gli anni e certe curvature del tempo e della storia del calcio restano insopportabili. In quel pomeriggio d’aprile di 36 anni fa, dopo aver riagguantato la Juventus in testa alla classifica e con la quasi certezza di avere più chance dei bianconeri di vincere lo scudetto, la Roma si piantò sulle proprie illusioni. Il Lecce vinse 3-2 e ricacciò all’inferno la Roma della rimonta impossibile.
E poi c’è il presente. Che non è meno ansiogeno e che impone delicatezza e controllo, anche se fra le due squadre potrebbe manifestarsi un divario imbarazzante. Decenni fa la Coppa Italia rappresentava per la Roma il torneo del riscatto. Negli ultimi tempi non lo è stato più. La Roma è più volte uscita in anticipo, spesso concedendosi ad avversari improponibili, come lo Spezia prima ancora che lo Spezia arrivasse in A, nel 2016.
Stasera non sarà una partita spartiacque, ma le condizioni non sono ideali. Bisogna vincere per forza. E quando è così capita che il motore s’inceppi, i giocatori non sentano alcun richiamo, men che mai della foresta, e una squadra piccola, nel pieno rispetto della tradizione inglese delle “giant killers”, si mangi i più titolati. Mourinho non è uno sprovveduto. Se per caso si dovesse cominciare a deragliare, è bene ricordarsi che il Lecce porta sventura.