La curva Sud è lì. S’intravede, dietro lo spigolo intonacato di rosa pallido del palazzo del Coni. Non ruggisce come quella domenica di 18 anni fa. Quando al 18esimo del primo tempo, Francesco Totti, con la fascia di capitano al braccio, spazza via la paura. Buca di destro il portiere del Parma Gianluigi Buffon e corre sulla pista di tartan. L’abbraccio con la sua gente è l’inizio dell’apoteosi collettiva per il terzo scudetto romanista. Stavolta è diverso. Il Foro Italico è avvolto dal silenzio. «Il Capitano» misura le parole nel salone d’onore del Coni, mentre all’esterno si raduna una folla discreta. Segue dallo smartphone la diretta «dell’addio di Totti alla Roma». Ci sono i 17enni liberi dalla scuola accanto ai vecchi tifosi «di curva», con le barbe ingrigite dagli anni «trascorsi seguendo la squadra ovunque». C’è lo storico responsabile degli spogliatoi dell’Olimpico che Totti l’ha visto crescere come un figlio. «Stanno depurando la Roma dai romani, privando la città dei suoi simboli — osserva un ex autista di Trigoria — non hanno ancora capito che i grandi club i campioni li tengono e li trasformano in ottimi dirigenti?». Annuisce Sante Secchiaroli, 79 anni, da Labaro. «La Roma non esiste più — assicura, sventolando una foto dell’anno dello scudetto — l’hanno uccisa. Questa dirigenza vuole solo far profitto. Allo stadio non ci vado più». «Io sì — ribatte Stefano Gismondi, un architetto 44enne — sono abbonato in Sud dal 1983, ho fatto 166 trasferte. La Roma è dei tifosi, allo stadio bisogna andarci. Dobbiamo cacciare Baldissoni e Baldini, sono loro i colpevoli». Lo riporta La Repubblica.