Le altre pagelle – Il karma nel nome del Pavel. Ancelotti: sarà vera gloria?

Pagine Romaniste (M. Rossi) – Pagelle di (quasi) fine anno, anche se il comportamento di alcuni dirigenti e giocatori ha ben poco dello spirito natalizio. Intanto a Roma scoppia il caso portieri: dopo Alisson, il diluvio.

NEDVED 8 – La partaccia del dirigente juventino, che nel giro di pochi giorni sacramenta per ben due volte contro un arbitro e abbandona il campo furente, è una gioia per gli occhi di chi ricorda perfettamente le prodezze del Nedved giocatore e dirigente. Ce lo meritavamo, dopo questo 2020 balordo.

ANCELOTTI 8 – L’amara esperienza col Napoli sembrava averlo ridotto a polvere di stelle, e anche l’accettare la panchina del pericolante Everton faceva presagire che il tecnico emiliano il meglio lo avesse ormai alle spalle. E invece il buon Carlo nelle ultime settimane si è riconquistato gli onori della cronaca e una posizione di classifica privilegiata, passando per una partenza sfolgorante e un lungo periodo di buio che aveva rinnovato i mugugni. Caduto e risorto, ma la fase del giacere ancora non è contemplata nei piani di Ancelotti.

MARCELLO CARLI (DS PARMA) 7 – Senza spingere troppo sulla nota polemica, con le sue dichiarazioni ha interpretato il pensiero chi ha voluto mandare avanti la baracca calcistica, anche a costo di assumersi il rischio di disputare partite con la rosa decimata, portando avanti un patto di sopravvivenza non scritto che qualcuno si è guardato bene dal rispettare.

MIRANTE 6 – Arriva con i galloni di affidabile secondo portiere, salvo poi doversi sobbarcare il peso delle aspettative di chi ha abituato il proprio palato a prelibatezze da gourmet. Ha la colpa di non essere quello che si pensava fosse Pau Lopez (un titolare), come Pau Lopez ha la colpa di non essere quello che è stato Alisson (un campione). Ma non è lui quello costato 23,5 milioni di euro.

FOOTBALL ASSOCIATION 5 – Bello il calcio inglese, belli gli stadi, bello il boxing day: bello tutto; ma giocare partite a una manciata di ore l’una dall’altra significa declassare il valore agonistico di uno sport la cui credibilità è già messa a dura prova dalla situazione pandemica. Pecunia non olet, ma organizzare con criterio le competizioni potrebbe regalare al calcio un odore più gradevole.

CANDREVA 5 – Arriva a Genova e ostenta lo stesso atteggiamento (per intenderci, quello identificabile con la celeberrima battuta del marchese del Grillo) con il quale un certo giocatore portoghese è arrivato alla Juventus. Quando Ranieri gli spiega che chiamarsi Antonio Candreva non è uguale a chiamarsi Cristiano Ronaldo, torna a più miti consigli.

GOMEZ 4 – Sei anni per scrivere una bella favola in quel di Bergamo, una manciata di secondi per cancellare tutto. E sì che le sue ragioni le aveva eccome, ma cantare l’inno della squadra avversaria in faccia a chi ti ha sostenuto e difeso per tanti anni è stata proprio una roba brutta.

CAIRO 4 – Vedere una squadra con la storia e il blasone del Torino lì in fondo alla classifica fa male al cuore. Principale responsabile di questo scempio è il presidente Cairo, che questa volta non è riuscito a spacciare per pezzi pregiati le cineserie infiocchettate col nastro rosa che da un paio d’anni raccatta durante il calciomercato. Non sempre la forma prevale sulla sostanza.

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