Fonti bene informate danno Claudio Lotito in pellegrinaggio a Brasilia, in preghiera davanti alla casa di Felipe Anderson. Già che c’è darà la sua solidarietà alla presidenta Dilma Roussef, visto che nel suo piccolo di contestazioni se ne intende. Gli consiglierà di prendere uno tipo Felipe nel governo per far tornare i consensi. Il magico Anderson rischia di essere l’affarone del secolo per lui. Non solo ha firmato fino al 2020, così avrà tutto il tempo per far lievitare il suo valore per la gioia della cassa presidenziale. Ma si sta trasformando anche in una sorta di capo popolo. Dopo il prolungamento ha detto: «Ora tutti allo stadio». Beh, più di 40 mila tifosi hanno riposto all’appello. Una cifra così, per una sfida non di cartello, all’Olimpico si era registrata un anno fa contro il Sassuolo. Ma i 41mila presenti erano accorsi per un solo motivo: insultare Lotito. Come cambiano le cose. Stavolta un solo coro contro, tanto per non perdere l’abitudine, ma poi sono stati tutti strameritati canti e applausi per la Lazio, che col Verona coglie la sesta vittoria di fila in campionato. E la quarta senza prendere gol. De Vrij e Mauricio hanno blindato la difesa.
SUBITO FELIPE È stata una pura formalità. La squadra di Pioli si conferma tra le più in forma del campionato. Il magico Anderson per l’occasione ha aggiunto un numero al suo repertorio: ha segnato il suo primo gol di testa. L’ha firmato dopo 4 minuti, grazie al cross di Basta e alla collaborazione di un incerto Benussi. E siamo a nove reti in campionato, che lo fanno diventare il capocannoniere delle aquile. Poi il dolce Felipe si è esibito nel repertorio classico. Un passaggio filtrato in un buco impossibile da pescare per i comuni mortali che ha creato l’occasione sprecata da Klose. Numeri d’arte varia di un uomo che fa innamorare di lui. E una galoppata di 60 metri nel secondo round conclusa con un tiro deviato da Benussi sulla traversa. Cose impensabili se pensiamo all’Anderson di un anno fa. Ma, appunto, le cose cambiano. Pioli l’ha tolto a una manciata dalla fine per regalargli il giusto tributo in solitaria. SOLO UNA SQUADRA Candreva, con una sassata su punizione sotto la traversa appena sfiorata da Mauri appostato in mezzo alla barriera, aveva già scritto le parole «The end» al tramonto del primo round. Il Verona è rimasto più che altro a guardare. Non c’è niente da capire. Troppa Lazio per questa Verona. Mandorlini ha provato a blindarsi cambiando il sistema con un 4-1-4-1, con Obbadi davanti alla difesa e il povero Toni orfanello nell’area avversaria. L’esperimento ha nuociuto all’offesa. E non è servito per fermare l’orchestra Pioli. Il tecnico è tornato al 4-3-3 dopo l’intervallo, quando ha inserito Nico Lopez per lo smarrito Tachtsidis a avanzato Christodoulopoulos ma non è cambiato molto. Un tiro per caso in porta per i veneti, a opera di Moras, finito sul palo. E un angolo a tempo scaduto. Tutta qui la misera produzione. Frutto di un atteggiamento passivo e di zero grinta. Il solo Hallfredsson si è guadagnato la pagnotta dannandosi l’anima per tentare qualche straccio di ripartenza. La Lazio invece di gol poteva farne altri. C’è de registrare un’altra traversa, del sontuoso Biglia, un faraone a centrocampo coadiuvato dal moto perpetuo Parolo. E qualche errore sotto porta di un Klose al solito generoso ma impreciso. Per chiudere il telegiornale delle buone notizie, si è rivisto Lulic dopo due mesi e mezzo ai box. Altro tassello prezioso per la corsa Champions.
NOTTE FELICE Già, la Champions. Non c’è il sorpasso sulla Roma, ma col pareggio del Napoli la Lazio ora ha 4 punti di vantaggio sulla quarta, che è diventata la sorprendente Samp di Mihajlovic. Anche la Fiorentina ha perso terreno. Pioli ha detto che vuole provare a vincerle tutte, senza guardare la classifica e le altre. Ma se le rivali si fanno male da sole beh, tanto meglio. Se poi il magico Anderson continua così, di notti felici ce ne saranno ancora parecchie.
La Gazzetta dello Sport – F. Bianchi