Corriere dello Sport (I. Zazzaroni) – Questa volta l’aspirina ha dato un forte mal di testa alla Roma e c’è stata poca partita. Le differenze – tecnica e di condizione – si sono notate quasi subito: quando una squadra non perde da un anno e viene da un campionato vinto in carrozza esprime un’energia e una sicurezza in ciò che fa davvero impressionanti.  De Rossi ha pochissime colpe, forse non ne ha alcuna. L’Olimpico l’ha capito e nel finale è tornato a cantare di passione. La conquista della terza finale europea di fila è verosimilmente compromessa: difficile immaginare il miracolo a Leverkusen, soltanto il gol che Abraham si è divorato nel finale avrebbe potuto alimentare l’illusione.
I limiti della Roma li conosciamo, il coraggio e l’aggressività non sono bastati a colmare le distanze. Il calcio in fondo è semplice e sa essere spietato: quando un allenatore, De Rossi, è costretto ad affrontare Frimpong e Grimaldo – quest’anno i migliori esterni d’Europa per rendimento – con Karsdorp e Spinazzola, i lati deboli (Spina è bravo se attacca, meno quando deve rincorrere una saetta, l’olandese fa tenerezza ma non è peggio di Celik o Kristensen), quell’allenatore è nei guai.

Viceversa, chi gode del (doppio) vantaggio, Xabi Alonso, lo sfrutta giustamente al massimo spingendo i suoi a muovere di continuo sugli esterni. In particolare a sinistra. A cambiare (anche “emotivamente”) la partita è stato proprio un errore grossolano di Karsdorp che ha favorito l’assist di Grimaldo per Wirtz. Da quel momento la Roma ha subìto la superiorità dei tedeschi che hanno chiuso il primo tempo con 11 conclusioni, tre delle quali nello specchio e quattro respinte dai difensori. La ripresa ha regalato emozioni positive negli istanti finali.