La Gazzetta dello Sport (L. Garlando) – Tra le domande più sollevate nelle analisi dopo la tremenda sconfitta con l’Arabia Saudita, questa: ma perché Scaloni non ha impiegato Paulo Dybala nel finale? Con Di Maria, Gomez e Messi in giornata di pochissima grazia, la freschezza tecnica della Joya avrebbe potuto schiudere varchi e accendere scintille.
Dybala viene da un lungo infortunio, ma nell’ultima partita contro il Torino, ha lanciato ottimi segnali di salute: scatti, invenzioni, un palo, un rigore procurato. È entrato con la Roma sotto e l’ha tirata su. Appunto, Scaloni.
Quest’estate, mentre Messi, Gomez e altri argentini si compattavano sulle spiagge, Dybala faceva le vacanze per conto suo a Miami. Paulo non era in quella stanza di Rio de Janeiro a pescare carte dal mazzo. Nell’aprile 2017, quarti di Champions, la Joya segnò una splendida doppietta in faccia a Messi: Juve-Barcellona 3-0.
Molti lessero quella notte come il passaggio di consegne. Leo prese nota. Non bastasse, nel settembre di quello stesso anno la Joya spiegò: “È difficile giocare con Messi. Occupiamo la stessa posizione e mi tocca adeguarmi”. Erano i tempi in cui gli chiedevano di defilarsi a destra. Di quelle parole, Dybala ha poi dovuto rendere conto a Leo e poi, nel 2020, farne un’aiura pubblica: “Avrei dovuto esprimermi in modo diverso. Io occupo questo ruolo da 5 anni, lui da 15, è naturale che debba sacrificarmi”. Tutto chiarito, ma la ruggine è rimasta.
Non avendo mai giocato nel Boca o nel River, Paulo non ha mai goduto di una spinta popolare, la sensazione è che in questo Mondiale, a questa Argentina che ha i creativi spompi e l’umore rasoterra, la Joya possa essere preziosa, già a partire dal Messico.