Il biglietto da visita di Erik Lamela è un gol da cineteca dopo 8 minuti. Vale tre punti importantissimi e la certezza di aver speso bene i soldi (tanti) che è costato questo talentuoso diciannovenne argentino. Non si improvvisa un sinistro a girare di quel genere, praticamente da fermo: Lamela sfrutta la palla rubata in pressing da De Rossi come se fosse la cosa più semplice e naturale di questo mondo. Anche se il seguito sarà un po’ a corrente alternata, il suo è un esordio dirompente, e il gol la cosa più bella d’una partita che, mettiamolo subito in chiaro, il Palermo non avrebbe meritato di perdere, per tutto quello che ha saputo fare dopo, specie nel secondo tempo d’una Roma come al solito col fiato grosso. Alla fine però, come è giusto, la differenza la fanno i «colpi» e i campioni. La distanza che c’è tra Lamela e Ilicic, invocato da Zamparini e buttato dentro da Mangia a un quarto d’ora dalla fine. L’uomo del destino avverso dei rosanero, visto il modo in cui sbaglia l’1-1 a porta vuota dopo avere anche scartato Stekelenburg.
Rivoluzione La fa Luis Enrique e va oltre ogni immaginazione, a riprova che il derby perso deve avere lasciato il segno. Esordio stagionale di Lamela e Juan, e fin qui ci siamo, ma spazio anche a Pizarro e Borriello, con Bojan lasciato in panchina forse col retropensiero d’una condivisibile cautela. Senza Totti e Pjianic, entrambi indisponibili, tenersi stretto un possibile trequartista di scorta nel giorno del debutto di Lamela può avere un senso. Nona formazione diversa in nove partite (Europa League inclusa), 27 giocatori utilizzati (23 in campionato), la Roma di Luis Enrique è ancora un cantiere aperto. Forse anche troppo. Funziona subito Juan, finché lo assiste il fisico, è troppo intermittente Pizarro, fallisce la coppia di centravanti pesanti, Osvaldo e Borriello, già testata senza grandi riscontri con il Siena (1-1). La Roma a trazione anteriore ha bisogno di maggiore agilità, meno chili ma soprattutto di una condizione atletica che consenta a tutti di reggere i 90 minuti. Sul piano del gioco, un passo indietro, anche se i cambi, Heinze, Perrotta e soprattutto Bojan nei minuti finali, alleviano le sofferenze d’un secondo tempo altrimenti imbarazzante. A Marassi col Genoa, mercoledì sera, vedrete che arriverà la formazione numero dieci.
Mistero In casa tre partite, 9 punti e 9 gol segnati. In trasferta quattro partite, 1 punto e zero gol segnati. Mistero buffo (ma non ditelo a Zamparini) cui Mangia cerca di ovviare assecondando in parte i desiderata del presidente: per la prima volta ecco un Palermo col rombo a centrocampo, Zahavi dietro le punte (Pinilla e Hernandez) nella veste di guasta-De Rossi ma anche di attaccante aggiunto. Su di lui Stekelenburg, protagonista al pari di Lamela, compirà la parata più importante. Nella ripresa il tecnico le proverà tutte, con Cetto in difesa per portare più avanti l’uomo-squadra Migliaccio, poi con Ilicic e Miccoli, per un Palermo che chiude con in campo addirittura tre punte e mezza. Miccoli tirerà invano quattro volte negli ultimi cinque minuti. Certo, ci fosse stato lui al posto di Ilicic, un quarto d’ora prima…
Gazzetta dello Sport – Ruggiero Palombo
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