Questo è un talento sbrigativo, dalla finalizzazione precoce. E l’età conta poco. E’ un problema di velocità di ingresso nelle partite. Erik Lamela aveva segnato il primo gol al primo pallone toccato in serie A, imprimendogli il giro giusto per arrostire il Palermo. Stavolta ha impiegato due minuti per orientare l’antenna a favore della Roma. Ha addomesticato un passaggio difficile sulla linea laterale, con astuzia e potenza. Ha disorientato tre avversari, toccando la palla solo per portarla via ai difensori, è volato sul fondo e in questo caso ha scelto il giro sbagliato, cercando il cross al centro. Non avrebbe mai fatto bingo. Ma De Sanctis, quarto napoletano incantato in pochi secondi, ha sbagliato la presa e si è fatto gol da solo. Giusto, però come si può parlare di fortuna, di fortuna e basta, quando tutto è nato da una giocata incosciente di Lamela?
SILENZIO – E’ stato impressionante in quel momento il silenzio del San Paolo, lo stadio che è un luogo di culto per tutti gli argentini. Dev’essere stato particolare ammutolirlo. Anche se nel marzo del 1992, quando Lamela è nato, Diego Armando Maradona aveva già mollato Napoli da un anno esatto, travolto dalle sue contraddizioni. Lamela invece è stato molto coerente con se stesso. Da ragazzo introverso qual è, ha accennato appena un’esultanza, alzando le braccia per ringraziare il cielo, in netto contrasto con lo “shhh” fatto da Osvaldo nel secondo tempo, il gesto che ha zittito di nuovo uno stadio già tramortito. E anche nelle parole, tra il primo e il secondo tempo ai microfoni di Sky, il giovanotto è molto misurato: “Sono contento, contento per la squadra. Non so se è stata la migliore Roma della stagione. Ora speriamo di continuare così”.
COMPIUTEZZA – Ma Lamela è stato anche molto altro. Sostanza. E costanza. Come già aveva fatto con la Juve, si è allargato sui lati, prima a sinistra e poi a destra, inseguendo gli avversari fino alla linea di fondo di Stekelenburg, senza mai perdere la bussola. Ha costruito idee, colpito un palo, fornito passaggi accattivanti che avrebbero potuto accelerare il trionfo della Roma. Non è mai uscito di scena fino a quando Luis Enrique non lo ha sostituito, perché era distrutto dall’andirivieni sulla fascia: “Ma mi piace giocare da punta esterna” assicura, nonostante l’evidente fatica.
AMMIRAZIONE – In questa serata dirompente, eccitante, Lamela ha reso fiero Sabatini, che l’ha comprato a peso d’oro dal River Plate, ha convinto definitivamente l’allenatore, che l’ha schierato titolare in otto delle ultime nove partite, e ha ammaliato tutti i tifosi che lo hanno osservato pontificare calcio davanti a una delle migliori sedici squadre d’Europa, al cospetto di mestieranti della difesa poco felici di saltare in aria per colpa di un dribbling o di un’accelerazione. “Erik sta diventando importante per noi – concede Luis Enrique – si allena come un matto e cresce giorno dopo giorno. Ha una qualità e una personalità incredibili”. Ecco l’investitura ufficiale. Da oggi Lamela non è più un giocatore emergente, una promessa di campione, uno con cui “si deve andare piano per farlo crescere con calma”. Da oggi, stadio San Paolo, Lamela è una delle anime della Roma. E se ha solo 19 anni, non è mica colpa sua. Come per l’errore di De Sanctis.
Corriere dello Sport – Roberto Maida