Il Messaggero (A. Angeloni) – José Mourinho ci aveva provato, all’inizio della stagione, con quel 4-2-3-1 iperoffensivo. Ne era nata una Roma pazza, senza alcun equilibrio, che faceva sognare ma fino a un certo punto. Naif. L’equilibrio, se c’era, era precario.
Zaniolo, Pellegrini e Micki più Abraham componevano un quartetto troppo spregiudicato per supportare una difesa che aveva terzini leggeri come Karsdorp e Vina due centrocampisti come Veretout e Cristante. Era una squadra senza troppa logica. Mou aveva creduto che la salvezza passasse dalla qualità di certi elementi, specie di quelli offensivi. Ora, proprio quando la stagione si incammina verso la sua discesa, scopriamo una Roma diversa: brutta, che vince partite sporche e cattiva. Bella no, quasi mai.
Una metamorfosi, che pian piano sta dando i suoi frutti, che consegna alla storia della stagione una Roma rinnovata e chissà se la vedremo così anche il prossimo anno. Una metamorfosi necessaria, cominciata quando la squadra stava affondando e solo da qualche settimana il gruppo di Mou sta metabolizzando un altro calcio, pratico, solido, figlio della sofferenza, appunto, meno naif.
Il corto muso ora ha un altro padrone, oltre ad Allegri, ed è lo Special. Che ha dimostrato di non essere legato a una sola filosofia di calcio e capisce le crisi di rigetto di alcuni elementi. La crescita di una squadra non dipende solo da come si metabolizza un certo credo tattico ma passa inevitabilmente sulla crescita dei giocatori.
Un esempio è Kumbulla, che ha ridato solidità a un reparto che da un po’ conta pure sul recupero di Smalling, che in campionato è sceso in campo 14 volte nelle ultime quindici partite. E la Roma magicamente fatica a prendere gol ora: zero nelle ultime tre partite, quindici clean sheet totali per Rui Patricio.