Pagine Romaniste (Alessio Nardo) – Tanti pensieri, un filo d’amarezza, strane sensazioni. Sì perché quei colori addosso, il bianco e il celeste del Marsiglia, col dovuto rispetto, stonano. Pazienza, dovremo farcene una ragione. Kevin Strootman (anche lui) è già il passato. Come gli altri, dal giorno alla notte si è trasformato: da certezza dello spogliatoio a figurina appartenente all’album dei ricordi. Il passo ormai è sin troppo breve. La terza cessione dolorosa dell’estate, l’ennesimo big di una lunga lista che prende, fa i bagagli e se ne va. Stavolta, davvero a sorpresa, perché dopo la chiusura del mercato italiano datata 17 agosto nessuno, ma proprio nessuno, ipotizzava un’ulteriore fiammata in uscita di Ramon Rodriguez Verdejo, in arte Monchi.
Forse il più felice, il direttore sportivo. Il più soddisfatto. In soli 15 mesi ha già compiuto la sua rivoluzione. Un’altra. Una delle tante in quest’epopea americana contraddistinta da costruzioni, smantellamenti e ricostruzioni. Andiamo per ordine. Con la partenza di Pjanic in direzione Juventus, nell’estate 2016, Walter Sabatini completò la demolizione della sua primissima rifondazione, quella del 2011. Della campagna acquisti iniziale dei vari Lamela, Gago, Borini, Kjaer, Heinze, Stekelenburg, Osvaldo e Josè Angel non rimase più nessuno. Un punto messo anche simbolicamente su un’era infelice, il primo biennio a stelle e strisce, con soddisfazioni nulle ed frustrazioni cocenti.
Con l’addio di Strootman, due anni dopo i saluti di Miralem, Monchi cancella di fatto la seconda rivoluzione sabatiniana, risalente all’estate del 2013, post 26 maggio. Lì venne fatta una scelta chiarissima, di rottura: Walter alzò l’asticella, deponendo le utopie calcistiche e l’affezione estrema ai giovani fanciulli, preferendo puntare su gente pronta, esperta, non per forza anziana ma caratterialmente già formata e capace di far la differenza. Kevin era l’ultimo esponente della campagna del riscatto, costituita anche da De Sanctis, Maicon, Benatia, Ljajic, Gervinho, Nainggolan (il belga arrivò a gennaio 2014). Uomini che consentirono alla Roma di dimenticare delusioni e piazzamenti anonimi, e di insediarsi conseguentemente (e stabilmente) sul podio della Serie A.
Cinque anni più tardi, il congedo del soldato orange rappresenta un ulteriore passaggio dell’annientamento dell’era Sabatini, a cui restano legati i soli Manolas, Fazio, Juan Jesus, Dzeko, El Shaarawy e Perotti. Ceduti, dall’arrivo del ds spagnolo, oltre a Kevin, Radja e Alisson, anche Salah, Rudiger, Paredes, Emerson Palmieri, Bruno Peres e Mario Rui. Senza dimenticare Gerson, in prestito alla Fiorentina. Per il resto, escludendo i prodotti della “cantera” Florenzi, De Rossi e i due Pellegrini, all’interno della rosa ci sono già 16 acquisti del ds andaluso (Olsen, Mirante, Fuzato, Karsdorp, Kolarov, Santon, Marcano, Bianda, Cristante, Pastore, Coric, Nzonzi, Zaniolo, Schick, Under e Kluivert). La terza rivoluzione, quella monchiana. Forse la più discussa. Di certo la più coraggiosa.