Il Messaggero (A.Angeloni) – Pressing alto, palla rubata, verticalizzazione immediata, gol. Quattro fasi, tutte imparate a memoria, con i tempi giusti e con i comportamenti giusti (citando chi ha allenato la Roma). Provare, riprovare fino a quando non diventano automatiche. La Roma di Firenze è la foto di un credo, quello del suo allenatore, Eusebio Di Francesco. Quindi, è la foto del suo allenatore. Da Bergamo, prima di campionato, all’ultimo viaggio in Toscana sono passati poco più di tre mesi, la Roma è cambiata. Migliorata, modificata. E di tanto.
CENTO GIORNI DI TE E DI ME – Eusebio batte molto su questi concetti: il lavoro, la fiducia in ciò che si fa, le condivisioni. Lo ha ribadito anche dopo il successo contro la Viola. La squadra ha imparato a stare in campo come vuole lui, interpretando quel 4-3-3 che tanti aveva spaventato ad inizio percorso. «Il lavoro più importante l’ho fatto nella testa dei calciatori e devo ammettere che tutti stanno sposando le mie idee: stiamo creando qualcosa». Chissà cosa c’era in quella testolina dei calciatori all’inizio, cento giorni fa o poco più. Forse ancora l’ombra di Spalletti, che aveva scosso l’ambiente e attratto verso di sé la rabbia (rabbia di cosa, poi?) di molti (non tutti) suoi giocatori; o forse la paura di aver perso un condottiero senza macchia né paura. O forse la paura di non reggere certi ritmi di gioco o l’idea persistente di aver perduto calciatori importanti come Rudiger e Salah. O forse boh, chissà. Ogni inizio nasconde insidie, quindi siamo nella normalità. Poi nel tempo, tutti hanno aperto le teste e ora ognuno si sente coinvolto. I risultati, anche e soprattutto quelli sporchi, aiutano a superare le difficoltà di apprendimento, sciolgono le gambe e rinfrescano le idee. Adesso la Roma sembra una macchina quasi perfetta. Un’idea in campo, ben interpretata da tutti, da chi gioca di più e da chi gioca meno. Metti Gerson e va ok, oppure lì ci piazzi El Shaarawy (dall’account Twitter dell’Uefa i complimenti per il gol al Chelsea, il più bello della settimana) e ti dà lo stesso, poi scopri che alto a destra ci gioca anche Perotti. In difesa sta fuori Manolas, sulla carta il miglior difensore della Roma o quantomeno il più quotato, e la Roma non prende gol schierando Fazio e Jesus, quest’ultimo messo spesso ai margini lo scorso anno. Chiunque vada in campo, l’idea di gioco resta la stessa: difesa alta, pressing nella metà campo avversaria e ripresa del pallone. Un calcio asfissiante. Di Francesco è riuscito pian piano a portare tutti dalla sua parte, valorizzando il gioco della Roma attraverso la valorizzazione dei singoli. Funziona il turnover (utilizzati 20 giocatori nelle ultime 13 gare) e i cambi sono sempre eccellenti (non ultimi quelli di Firenze). Oggi tutti valgono un po’ di più, tutti si sentono la Roma, Di Francesco stesso, anzi lui per primo. E’ cambiata la mentalità (“quell’andare a prendere gli avversari” fa la differenza nella testa dei giocatori), è cresciuta la condizione fisica, la Roma del secondo tempo di Firenze è stata dirompente, specie se si considerano le fatiche accumulate con il Chelsea. «La squadra deve essere consapevole di dover affrontare i match andando sempre a prendere gli avversari. La squadra è cresciuta anche nella mentalità. Lo scetticismo non mi riguarda». In queste parole c’è un progetto, che per adesso funziona e porta risultati, in attesa di chi per ora non si è visto. L’interpretazione della ripresa contro la Fiorentina ha rasentato la perfezione, al di là dell’aspetto fisico: in campo una squadra compatta, aggressiva e organizzata. Il contrario di quella timida, inconsapevole e fragile vista, ad esempio, all’esordio in Champions con l’Atletico Madrid. Quella squadra spaventò tutti, pure a Trigoria. Era una questione di tempo. Ora spaventa gli avversari. Intanto la ripresa degli allenamento è programmata per giovedì a Trigoria. Mancheranno 14 giocatori per via della nazionali. Per il derby, infine, già venduti 21mila biglietti (ieri un’impennata).