Più che preparare la partita di lunedì prossimo, Massimiliano Allegri preparerà il cestino del picnic. Con la Roma a -9, la preventivata resa dei conti dell’Olimpico si è trasformata in una piacevole scampagnata della Signora tra le rovine della Capitale. Era il 17 ottobre quando Rudi Garcia, alla vigilia dell’impegno casalingo con il Chievo, annunciò urbi et orbi: «Siamo più forti della Juve. Dopo il confronto allo Stadium ne sono sicuro: vinceremo lo scudetto». Ieri , dopo il triste incrocio con l’altra veronese, il d.s. Sabatini mandava a dire: «Lo scudetto? Non prendiamoci in giro…».
In mezzo campionato si è ribaltato il mondo. Garcia, che aveva abbandonato i delicati tratti filosofici per vestire i panni del gladiatore, attaccare di petto la Juve e propagandare speranza, aveva in pugno il suo popolo. Ora è nel mucchio dei contestati, incapace di governare il timone di una Roma smarrita, guardato storto da ogni sostituito. La Juve ha preso il largo, superiore in tutto. Atleticamente. Anche a Verona la Roma è stata rimontata. C’era una volta la squadra di Garcia che sfiancava l’avversario a colpi di ripartenze, come un pugile che picchia ai fianchi, per sferrare il k.o. nella ripresa, con la pazienza dei forti. Ora, più spesso, la Roma si ritrova sulle gambe dopo l’intervallo e cala di brutto come contro il Feyenoord. Anche la Juve di questi tempi non vola, ma tatticamente è attrezzata per vincere pure sotto ritmo. La Roma no. È come un aquilone: si alza solo se Gervinho e gli altri esterni corrono a mille. Non ha un attaccante di ruolo da piantare in area nella speranza che s’inventi un gol o che faccia fruttare un cross disperato. Quelli che aveva li ha sbolognati: Destro, Borriello. La Juve ha il capocannoniere del campionato, Tevez, e sta trovando sempre più spesso i gol di Morata. Il Napoli, che sta risalendo minaccioso, ha tre attaccanti oltre gli 8 gol: Callejon (9), Gabbiadini (10), Higuain (12). La Roma ha il solo Ljajic oltre le 5 reti. Troppo poco per sognare.
La memoria li tramanda come gli scudetti di Falcao e Totti, ma, all’ombra dei due re di Roma, Pruzzo ne segnò 12 e Batistuta 20. Se non segni, non vinci. Garcia ha pareggiato 6 delle ultime 7, passando da -1 a -9: è qui che si è creato il baratro con la Juve. Nel calcio dei 3 punti pareggiare è quasi perdere. Molti hanno trovato l’antidoto al bel gioco di Garcia che avrebbe dovuto inventarsi nuove soluzioni offensive per spiazzare. Ma non è solo questione di gambe, tattica e mercato. C’entrano anche il calo di troppi protagonisti (Totti, De Rossi, Pjanic, Maicon…) e una ridotta disponibilità di cuore: la Roma non si diverte, non lotta, non soffre, non vuole con la forza di un anno fa, quando sembrava vincere per l’unità del gruppo, per la gioia che esprimeva correndo sotto la curva mano nella mano.
Una stagione di elogi, dopo tanti stenti, ha imborghesito i costumi e smorzato le voglie. Alla Juve, che pure ha vinto tanto, non succede. Tevez, che ne è il simbolo, ha segnato 9 gol su 14 nel primo quarto d’ora dei due tempi. Scende in campo con una fame feroce. Dopo aver segnato il gol del 2-2 in un derby da vincere a tutti i costi per rimontare, l’Apache avrebbe riportato di corsa la palla al centro del campo. Mai si sarebbe fermato sotto la curva a farsi un selfie.
La Gazzetta dello Sport – L.Garlando