La Gazzetta dello Sport (A. Frosio) – L’idea di passare un paio di notti al secondo posto si trasforma nel ritorno nel gruppone delle aspiranti alla Champions, in scomoda compagnia di Atalanta e Milan. La Roma frena a Lecce. Modesta nella proposta offensiva, modestissima nella qualità tecnica, in un panorama desolante soprattutto nel secondo tempo, in cui i guizzi di Dybala risaltano ancora di più.
Il suo rigore rimedia in fretta all’autorete di Ibanez propiziata da un’incursione di Baschirotto (la Lega Serie A decide contro il difensore giallorosso).
Forse perché è come se servisse tenere i nervi a fior di pelle per spremere qualcosa da una squadra che ha un unico modo per arrivare alla porta avversaria: affidarsi ai tre davanti. Insufficiente se uno stecca, Pellegrini, o se Abraham si ritrova davanti un Falcone che non avrà reso contento “papà” Verdone (il portiere leccese da piccolissimo ha avuto una parte in un suo film come figlio dell’attore e regista romanista). Risulta quasi paradossale che una Roma così minore possa andarsene addirittura con qualche rimpianto, perché sull’1-1 ha avuto tre chance limpide con il suo centravanti. Con altrettante risposte strepitose del portiere avversario. Ma dopo la terza, la Roma è sparita.
Ma la partita scade sempre più di qualità, aumentano gli errori tecnici. Mourinho cambia solo dall’83’, Wijnaldum e Belotti, poi Solbakken. L’olandese rivede il campo nel finale dopo i 12’ di inizio campionato contro la Salernitana: un nuovo debutto, ma si è visto pochissimo. Come tutta la Roma. Che non tira più in porta e nel secondo tempo ha guadagnato appena un calcio d’angolo. Nemmeno capace di attivare la sua arma migliore.