La Repubblica (P. Condò) – Quale il compito ultimo di un allenatore? Vincere i trofei? Migliorare i giocatori? Crescere i giovani? Nel momento in cui la Roma piange su una finale perduta ai calci di rigore ci piace pensare che un grande allenatore debba saper fare tutte le cose che abbiamo indicato, ma che il suo compito ultimo sia quello di trascinare la gente allo stadio.
José Mourinho ha conquistato due finali in due anni, ma la coppa vinta resta una, la Conference di Tirana. Ci sono andati vicino, mentre ai rigori non c’è stata contesa. José Mourinho mantiene comunque questa capacità unica di piazzare le sue squadre sulla carta geografica. Ricordate la felice immagine di Rudi Garcia, la chiesa rimessa al centro del villaggio? Mourinho l’ha moltiplicata per dieci, e la seconda finale definisce ormai il club giallorosso come un player internazionale.
Non c’è un lembo delle magliette giallorosse che non sia intriso di un sudore profondo, ed è di questo che si è innamorata la gente. Un anno fa Dybala piangeva a dirotto allo Stadium, scaricato dalla squadra in cui aveva sognato di invecchiare perché giudicato troppo fragile. Non si è scrollato di dosso quest’etichetta, ma nel tempo che è riuscito a dedicare alla Roma più di 70 minuti. In finale aveva un tempo di scadenza. Non sapremo mai se un Dybala al massimo avrebbe portato la coppa. Sappiamo che interrompere quest’esperienza, vale per Mou, vale per Paulo, sarebbe un gran peccato.