Josè Angel non parla, cinguetta. È un tweettatore folle, ma se la cava bene anche con Facebook. Non c’è giorno che non lasci in mare il suo messaggio in bottiglia, o, appunto, il suo cinguettio. Sicuro che qualcuno lo raccoglierà, leggerà, commenterà. Numerosa ed eterogenea la comunità virtuale romanista. Spesso anche folcloristica. Josè lo avrà imparato? Probabilmente sì, sulla propria pelle. C’è voluta qualche gaffe, fatta in buona fede, per ingenuità. La foto che lo ritraeva con Zlatan Ibrahimovic, postata dopo la sconfitta con il Milan con tanto di commento («Che grande giocatore!»), deve avergli fatto capire che ai romanisti non piace scherzare dopo una sconfitta. Insulti, volgarità, inviti a giocare di più (e meglio) e a smanettare di meno. Lui il giorno dopo costretto a scusarsi e a spiegare. «Non volevo creare un dispiacere ai tifosi della Roma…».
Equivoco I dispiaceri, piuttosto, rischia di darglieli sul campo. Josè Angel è un equivoco: non è un terzino, somiglia più ad un attaccante! Almeno ne ha la vocazione. Vedendolo giocare, il sospetto è diventato piuttosto fondato. La sua azione tipica: parte a testa bassa, spinge che è una bellezza, pure con personalità, sa tirare e crossare. E la fase difensiva? Non pervenuta, molto spesso. Troppe volte. Quanti gol ha già sulla coscienza? Quanti svarioni non sono passati inosservati? I suoi «Forza Roma» postati prima e dopo ogni partita fanno pure simpatia, ma col passare delle partite è sopraggiunta una certa inquietudine: non sa difendere, imparerà?
Fedelissimo Eppure le ha giocate tutte. Almeno tutte quelle in cui poteva esserci, dal principio. Dieci partite su undici, ha saltato solo l’Inter per squalifica, per minutaggio è inferiore soltanto a Nicolas Burdisso, 880’ giocati su 990’ a disposizione. Numeri che lo rendono uno dei fedelissimi di Luis Enrique, anche per mancanza di alternative, però: la Roma non ha altri terzini sinistri nella rosa, se non il riciclato Taddei. Logico che per Josè Angel, qualunque cosa combini, ci sarà sempre una maglia da titolare. Del resto, è il tecnico asturiano che lo ha voluto: chi lo conosceva quando sgambettava a Gijon? È costato tanto (quattro milioni e mezzo più commissioni), ci si chiede se ne sia valsa la pena.
Pure lui? E lo stesso interrogativo vale per Cicinho, terzino destro con un grande avvenire alle spalle, lui davvero costato uno sproposito. Ma era la vecchia gestione, inutile piangere sul latte versato. Piuttosto, dopo averlo lanciato titolare, esserne stato deluso e averlo perso per infortunio, che ne farà ora Luis Enrique? «Sono guarito, ho lavorato tanto per tornare a disposizione, mai avuto problemi con l’allenatore, sono
pronto a giocarmi le mie carte, speriamo già a Novara». Il disastrato Cassetti e il redivivo Rosi sono i suoi concorrenti. Non proprio due mostri sacri.
Gazzetta dello Sport – Alessandro Catapano
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