Corriere dello Sport (R.Maida) – Alla fine il calciatore di mezzo ha scelto un posto di frontiera per non sentirsi più un precario: bienvenido a Tijuana, Juan Manuel Iturbe, l’altra faccia della California; di là San Diego e il sogno americano, di qua il Messico che non si vede nelle cartoline. E’ stata una trattativa-lampo: Iturbe si trasferisce allo Xolos, che lo ha preso in prestito con obbligo di riscatto per un totale di 5 milioni da contabilizzare, per la Roma, nel prossimo bilancio. Stamattina si metterà in viaggio in compagnia della fidanzata Guadalupe per andare a conoscere la nuova casa e per firmare un contratto di quattro anni a cifre addirittura più alte rispetto a quelle che gli garantivano a Trigoria: oltre 2 milioni netti a stagione.
MALINCONIA – Si conclude così, in un clima di indifferenza misto a sollievo, la parabola triennale di uno dei più grandi flop della storia della Roma. Ed è indicativo che Monchi, in cerca di un’ala destra di piede sinistro, si disfi proprio di Iturbe che ha le caratteristiche richieste. Delusione assoluta, considerando il rendimento, e fallimento memorabile, valutandone il prezzo d’acquisto dell’estate 2014. In attesa del grande colpo per l’attacco, resta il giocatore più pagato della storia americana del club: 25 milioni più commissioni, un’enormità. Erano però altri tempi e Walter Sabatini, determinato ad abbellire l’immagine internazionale della Roma, decise di sfidare ad armi pari sul mercato la Juventus, dirottando virtualmente l’aereo di Iturbe indirizzato a Torino con un rilancio finale che cancellò un destino già segnato.
SFORTUNA – Allora sembrò un capolavoro di lucidità finanziaria e un rinforzo decisivo per gli equilibri dello scudetto, mentre il Verona e il Porto si spartivano il bottino fregandosi le mani dopo aver assistito all’unico campionato positivo del nostro eroe: 33 partite di serie A guarnite da 8 gol. Iturbe in effetti entrò senza paura nel mondo Roma, regalando a Garcia una rete e due assist all’esordio in Champions League contro il Cska Mosca. Solo che, proprio quella sera, si perse per la prima volta nelle sue fragilità paradossali: si infortunò – raccontarono senza scherzare – durante l’esultanza per il gol. L’inizio della fine, a parte due scie di una stella: il gol a Torino contro la Juve, partita che gli costò un altro infortunio per una coccola aggressiva di Chiellini, e soprattutto il graffio nel derby, il «preliminare di Champions» come lo chiamò Rudi Garcia, che gli garantì altri mesi di pazienza da parte di tifosi e società.
PEREGRINARE – Ma non sarebbe bastato neppure un elettrochoc tecnico a restituirgli autostima e fiducia, ormai. «Come mai avete ceduto Iturbe?» si chiese Spalletti appena arrivato, scoprendo che era andato in prestito al Bournemouth. Se ne accorse lui stesso pochi mesi dopo, tanto da spedirlo di corsa al Torino. Ma da nessuna parte Iturbe rispondeva più ai comandi. Il calciatore di mezzo, argentino di famiglia ma paraguaiano di Nazionale, quello che segna e si infortuna, poteva solo cambiare vita per ritrovarsi, come quegli impiegati frustrati che a un certo punto aprono un chiosco sulla spiagga caraibica. Tijuana è per definizione una località di passaggio, magari a lui servirà come ponte per la felicità.