Il Corriere Della Sera (A.Bocci) – Il cuore grande dell’Italia non basta. Dopo aver liquidato Belgio e Spagna, la Nazionale di Antonio Conte si arrende ai migliori di tutti dopo una battaglia lunga centoventi minuti e diciotto calci di rigore. Finisce 7-6 per i campioni del mondo che allontanano lo spettro di un’altra eliminazione, ma gliela abbiamo fatta sudare. Ci condannano gli errori dal dischetto di Zaza, appena entrato, Pellè, Bonucci e soprattutto Darmian. Quando Hector segna l’ultimo tiro la Germania festeggia come se avesse vinto l’Europeo. L’Italia dei gregari lascia a testa alta confermando in pieno le sue doti. Una squadra che non si arrende mai: resta appiccicata alla partita anche quando sembra sfuggirle di mano, quando i tedeschi, bravi e un po’ tronfi, sono convinti di aver portato a casa la semifinale e cancellato la maledizione.
Gli azzurri hanno sette vite, il cuore operaio, un grande spirito di abnegazione e alla fine la gente applaude convinta i nostri guerrieri, stravolti dalla fatica e puniti oltre i propri demeriti. Buffon è un gatto sul rinato Gomez, il muro non traballa quasi mai e Parolo play è una scelta anche per il futuro. Nell’Italia di Conte non ci sarà il talento necessario per vincere l’Europeo, ma c’è tutto il resto. La Germania è più forte, l’Italia più tosta. Spesso finisce in apnea, ma non molla la partita, non si arrende al tiki-taken tedesco degli uomini di Löw (61 per cento di possesso palla al novantesimo), alza sempre l’asticella e spinge la partita più avanti sino ai supplementari, caldissimi, dentro lo stadio di Bordeaux. L’incantesimo si spezza, ma usciamo a testa alta. Löw adegua la Germania all’Italia, come aveva fatto tre mesi fa all’Allianz. Allora 3-4-3 su 3-4-3, adesso 3-5-2 come gli azzurri. L’operazione gli costa Draxler, il migliore nell’amichevole in Baviera e adesso in panchina a favore di Howedes. Himmich e Hector sono gli esterni, Ozil parte a sinistra ma si accentra libero di spaziare sul fronte offensivo, Müller gioca accanto a Gomez anche se prova spesso e volentieri a sottrarsi alla marcatura spietata dei bastardi azzurri.
Da brivido l’applauso dello stadio per le vittime della strage in Bangladesh. La Germania è subito dentro la partita, alza il baricentro, spinge sulle fasce, pressa in maniera feroce a centrocampo. Ma il possesso è sterile, quasi spocchioso. L’Italia con Parolo play, Sturaro interno, Florenzi e De Sciglio sugli esterni combatte con le armi che ha a disposizione: attenzione, dedizione, grinta. La prima mezz’ora è molto dura, ma progressivamente gli azzurri trovano il modo di alzarsi e di rendersi pericolosi con il fraseggio corto, i tagli di Eder, le sponde di Pellè, gli inserimenti di Giaccherini. E due minuti prima del riposo ecco l’affondo giusto del soldatino fedele che sul lancio di Bonucci (schema collaudato) si allunga il pallone e invece di tirare crossa: Boateng devìa in angolo. Un’occasione noi, una sola (vera) anche loro, un minuto prima, un tiro debole di Müller da centro area. Nel volo con cui Florenzi, allungando un piede, salva sul tiro a colpo sicuro di Müller al 9’ della ripresa c’è tutto lo spirito della Nazionale. L’Italia però ha il torto di abbassarsi, Pellè è troppo lontano dai centrocampisti. Così la Germania sfrutta il momento di amnesia azzurro grazie a Ozil in un’azione portata avanti con sapienza da Mario Gomez che però quando l’avvia è in posizione di leggero fuorigioco. Ma quando il destino sembra segnato, tiriamo fuori l’anima, sorprendendo la Mannschaft con attacchi furiosi. Il rigore di Bonucci è un netto fallo di mano di Boateng su Chiellini, il lottatore Pellè spreca addirittura il sorpasso. I supplementari sono tutto e niente, l’epilogo una lotteria ingiusta. Torniamo a casa tra le lacrime. Così fa male.