Italia da incubo

La Stampa (P.Brusorio) – Missione fallita. Senza se e senza ma. L’Italia perde in Svezia e ora il viaggio in Russia si complica maledettamente. Intendiamoci, rimontare un gol di svantaggio a una nazionale che fuori casa è sicuramente più malleabile di quando gioca in questo stadio (dove se non perde dal settembre 2015 un motivo pure ci sarà), può anche non apparire come un’impresa impossibile. Ma dovremo rimontare e non subire gol. Soprattutto, dovremo farli sti benedetti gol. L’Italia vista dentro la Friends Arena è stata poca cosa invece, in novantacinque minuti recriminiamo veramente solo per il palo di Darmian, il resto è stato un affannarsi fine a se stesso, un mulinare di braccia per evitare di affogare. E contro una squadra quadrata che ha giocato molto di fisico e, soprattutto, con il fisico in questo aiutata anche dalla benevolenza dell’arbitro Cakir, troppo permissivo. Ventura è una furia per come gli svedesi l’abbiamo sempre fatta franca, ma è meglio guardare quello che non abbiamo combinato. Una partenza da suburra dove la Svezia gioca subito a gomiti alti e il colpo di Toivonen a Bonucci è stata in effetti come una sveglia che abbiamo faticato però a sentire. La palla scottava e non sapevamo come prenderla. Anzi, proprio non l’abbiamo presa.

ATTACCANTI INCOMPATIBILI – L’apnea iniziale è figlia della paura e sembra sentirlo Buffon che dice quanto bene ci farebbe sentire la pressione, ma è strano vedere come una squadra cui non manca l’esperienza sbagli invece l’approccio. Dopo il rumore di cingoli e un paio di carrozzerie ammaccate, abbiamo visto poco altro. L’Italia ha provato ad uscire dalla tana e c’è riuscita con la migliore azione della primo tempo, quella che rimarrà l’unica per 45 minuti: il colpo di testa di Belotti che prima del colpo di Darmian ha fatto correre l’unico spavento a Olsen. Appunto Belotti: Ventura ci aveva visto bene, il Gallo è ancora lontano da una forma accettabile a questi livelli. Ma altro il ct non poteva fare. Considerato che Immobile pure non godeva di buona salute, i conti si fa presto a tirarli: davanti abbiamo faticato più del solito, abbiamo sbattuto contro i pennelloni svedesi e pure i mulini a vento. Le due punte oltre ad annusare poco l’aria negli spazi che contano parlano due lingue diverse, incomprensioni che nemmeno il lavoro di preparazione è riuscito a sanare. Abituate a una vita da single, pensare e agire come una coppia è esercizio tecnico e agonistico non proprio immediato.

MONOTONIA FASTIDIOSA – Ha retto la difesa, con tutti quei corpo a corpo, ma il fatturato del centrocampo è stato un piccolo cabotaggio: sempre un tocco in più, mai uno di meno. Verratti merita un capitolo a parte: l’ammonizione che gli costa il ritorno dice molto dell’immaturità del regista del Psg che dopo un paio di discrete giocate assistite da Darmian, di gran lunga il migliore, ha finito per essere travolto dai suoi fronzoli. Poca qualità in mezzo al campo, meglio sulle fasce dove Candreva ha avuto spazio e la gamba per saltare il primo morbido ostacolo svedese, quel Forsberg che tanto si è agitato dalla metà campo in su, ma che quando ha dovuto difendere si è rivelato fragile come un cracker Wasa. Di gioco se ne è visto davvero poco, la Svezia è stata appiccicosa come una maglietta bagnata, monocroma ma fastidiosa. Il gol che l’avvicina al Mondiale non poteva che arrivare per caso e in effetto che c’è di più casuale di una deviazione (di De Rossi) su un tiraccio dell’appena entrato Johansson? Nulla. Il problema è che la Nazionale, questa vista alla Friends Arena, è figlia delle altre sopportate durante tutto il girone di qualificazione, una processione dolente e lacrimosa che comunque vada finirà lunedì sera a San Siro. E hai voglia a dire che l’Italia non può essere così brutta. Può essere anche peggio.

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