Il Messaggero (S. Carina) – No Dovbyk, no party. Sta diventando una triste consuetudine: se non segna il gigante ucraino, la Roma la porta avversaria la vede in cartolina. Artem, di professione centravanti, il suo dovere lo sta facendo: 5 reti in 11 partite, di cui un paio (Elfsborg 26′ e l’altra sera contro la Dinamo Kiev 53) nemmeno giocate per intero. Il problema è il resto: da difensori e centrocampisti mancano i gol. Tanti gol. E questo non può ripercuotersi nel computo totale. Nell’ultimo quadriennio, mai la Roma aveva segnato così poco: appena 10 volte. Un totale che non fa arrivare i giallorossi nemmeno ad una rete a partita. Per farsi un’idea basta leggere il grafico qui sotto: nell’ultimo quadriennio dopo 11 incontri (8 di campionato e 3 di coppa) la media in due stagioni era stata di 25 centri (2021-22 e 2023-24) e quando si era segnato poco (come lo scorso anno) le reti erano state comunque 5 in più rispetto ad adesso. Un dato che già di per sé fa riflettere sulla qualità del gioco. Ma c’è di più: la penuria offensiva va di pari passo con difensori e centrocampisti che non riescono ad essere più incisivi come lo erano in passato.

Ad oggi, invece, in gol sono andati i soli Pisilli e Cristante (con clamorosa deviazione di Busio) in una partita, contro il Venezia. All’appello manca la contraerea difensiva (Mancini, Hermoso, Ndicka, Hummels se e quando giocherà), che negli anni scorsi rappresentava il grimaldello di match complicati sui calci piazzati. Un quadro che spiega il momento che sta vivendo la Roma. Una squadra che si aggrappa al suo centravanti che però, da qui al termine della stagione, non potrà giocare sempre. Finora è sceso in campo in tutte e il le partite. Ma ci sarà inevitabilmente il raffreddore, l’affaticamento muscolare, senza voler scomodare l’infiammazione al ginocchio che si porta dietro da qualche tempo, che qualche volta lo consiglieranno di riposare. E dietro, Shomurodov, non può essere l’uomo che lo sostituisce. Il gol sbagliato clamorosamente l’altra sera contro la Dinamo Kiev c’entra parzialmente. L’uzbeko è un calciatore che ha fatto fatica in palcoscenici minori, figuriamoci a Roma. Della serie: l’aver pensato di poter fare con il solo Dovbyk è stato, oltre alla mancanza di esterni di qualità, l’altro grave errore di Ghisolfi nello scorso mercato estivo al quale dovrà mettere a rimedio a gennaio (Beto?).

Ma da qui a gennaio il cammino è lungo. Quindici gare, compreso il derby del pre-Epifania, sono tante. E la Roma deve ritrovarsi. Come? Il richiamo all'”essere bestie” di Juric non basta. Certamente serve più cattiveria agonistica ma allo stesso tempo questa e una squadra che volenti o nolenti ha altre caratteristiche. Non ci sono calciatori che “si esaltano nei pullman provocando la tifoseria avversaria mentre vanno allo stadio”, come ricordava malinconicamente Mou stuzzicando e provocando lo spogliatoio all’epoca: “A qualcuno in trasferta manca la mamma o il dolce della nonna”. Servirebbe quindi una manovra che permettesse alla Roma di tenere forse meno il pallone e cercare un gioco più verticale, sfruttando la qualità dei suoi elementi nell’uno contro uno. E invece la Roma continua a essere una creatura ibrida con tanti equivoci. Il più curioso riguarda Celik: quella che lo scorso anno è stata anche la terza scelta dietro Kristensen e Karsdorp, ora non se ne può più fare a meno. E non solo a destra: adesso anche come terzo centrale. Qualcosa non va.

Foto: [Paolo Bruno] via [Getty Images]