La Gazzetta dello Sport (A.Schianchi) – L’impresa ha un segreto che si chiama pressing. Senza l’aggressività e senza l’atteggiamento ultraoffensivo nel recupero del pallone le meraviglie ammirate all’Olimpico non si sarebbero viste. Bravissimo Eusebio Di Francesco nell’impostare la sfida: ha chiesto ai suoi uomini di chiudere tutti gli spazi quando il Barcellona iniziava la manovra, ha preteso (e ottenuto) sacrificio anche dagli elementi di maggiore qualità tecnica, ha mostrato coraggio accettando l’uno-contro-uno in zona calda, dove spesso il terzetto formato da Fazio, Manolas e Juan Jesus non aveva coperture contro Iniesta, Suarez e Messi. Con queste mosse, e con i rischi calcolati che esse comportavano, l’allenatore giallorosso ha avuto la possibilità di giocare ad armi pari in mezzo al campo. Anzi: in diverse occasioni i giallorossi sono stati in superiorità numerica, grazie alla spinta degli esterni Florenzi e di Kolarov.
POSSESSO – L’idea iniziale è quella di braccare i funamboli del Barcellona già in fase d’impostazione. Ecco allora Dzeko «ballare» tra Piqué e Umtiti, e dietro di lui una linea di quattro, composta da Florenzi, Schick, Nainggolan e Kolarov, pronta ad aggredire l’avversario che riceve il passaggio dalla difesa. Se per caso il nemico riesce a scavalcare il muro, ci sono sempre De Rossi e Strootman a fare da argine prima che l’ondata arriva vicino alla retroguardia giallorossa. Il possesso-palla dei giallorossi è del 43,4 per cento, dato lusinghiero considerando che di fronte ci sono i maestri del tiqui-taca. Tra i reparti c’è sempre reciproca assistenza: 72 palloni recuperati. E grazie a questo modo d’interpretare la partita, la Roma riesce a piantare le tende nel campo avversario, a non far ragionare i centrocampisti catalani e a ripartire immediatamente con velocissimi contrattacchi. E arriva un’impresa da raccontare ai nipotini.