Pagine Romaniste (R. Gentili) – Natale è passato da qualche giorno, ma per più di qualche tifoso romanista era già passato da 7 mesi. 4 maggio 2021. Paulo Fonseca viene esonerato dalla Roma dopo due stagioni. Un modus operandi insolito. Raramente infatti si è assistito ad un esonero a stagione in corso. Ma c’è una ragione.
Nel pomeriggio la Roma sorprende il mondo intero annunciando come nuovo allenatore José Mourinho. Internet, i giornali e le televisioni di tutto il mondo sono in subbuglio. I tifosi della Roma cominciano a sognare con l’avvento di Mou. Il campionato è ancora in corso – si concluderà con il settimo posto e la qualificazione in Conference League all’ultima giornata – ma l’attenzione è tutta rivolta verso lo Special One. Maglie, gelati e murales: Roma è in visibilio.
Lo è anche soprattutto tre mesi dopo. 2 luglio 2021, si concretizza l’avvento di Mourinho di fronte al suo nuovo popolo, da guidare fin le più alte vette, da lui già abitate. A Ciampino l’arrivo in aereo – guidato dal presidente Dan Friedkin – è accolto da centinaia di tifosi in delirio. L’atterraggio del velivolo è atteso trepidamente. Tutti con i telefonini in mano seguono passo dopo passo la fase di atterraggio, come successe per lo sbarco di Neil Armstrong sulla luna. È l’arrivo di colui designato ad essere il Messia della Roma. “Sta arrivando”, dice un tifoso. “Mancano 20 minuti!”, gioisce un altro. L’aereo tocca terra, si innalza un urlo di gioia. È arrivato Mou, incaricato di diffondere il verbo “vincere”.
È lo stesso a Trigoria. Commosso dall’accoglienza riservatagli, Mou si affaccia dal balcone innalzando al ciel la sciarpa giallorossa. Si batte il pugno sul petto, manda baci e saluta i tifosi. La raffigurazione di un imperatore. Del nuovo imperatore di Roma.
GIRO DI BOA – Nelle prime uscite ufficiali l’entusiasmo della “Mou-mania” è percepibile ovunque. In campo, dove la squadra raccoglie 6 vittorie di fila, prima di cadere a Verona, e sugli spalti, sempre più gremiti. L’ultimo successo contiene una piccola iconografia dell’esperienza romanista di Mourinho.
Contro il Sassuolo il risultato viene sbloccato dallo schema su calcio piazzato tra Pellegrini e Cristante, poi Djuricic pareggia. Quando il pareggio sembra oramai essere definitivo, arriva l’esplosione. Il tiro a giro di El Shaarawy accarezza il palo e si infila dentro la porta di Consigli. L’Olimpico esplode. Mou con lui. Rischiava di non celebrare a dovere la panchina numero 1000 in carriera. Il Faraone gli ha fatto il regalo, lo festeggia correndo sotto la Sud in una corsa che trasuda l’amore per i colori capitolini. La Roma si conferma prima in classifica insieme a Milan e Napoli.
La vetta del campionato, però, è un’altezza ancora troppo alta per una squadra che “ha bisogno di tempo”. A Verona le vertigini giallorosse vengono ridotte dalla prima sconfitta romanista di Mou. I giallorossi scivolano al quarto posto. Sarà la posizione stazionaria fino alla dodicesima giornata. La Roma arriva a Venezia dalla sconfitta – ricca di polemiche ed episodi arbitrali rivedibili – in casa contro il Milan, che fa eco ai ko con la Juve (ed altra polemica anche qui) e al derby, accompagnata anche questa dalla eco degli episodio dubbi.
In laguna la Roma sprofonda in tutto e per tutto. Nel risultato (3-2), ma soprattutto nella prestazione. Vuota e soprattutto non da lui. Per tutta la durata della partita, infatti, rimase a guardare, assistendo inerme all’affondamento.
L’umiliazione (il Venezia aveva il peggior attacco) funge però da spinta morale. Arrivano due successi con Genoa (0-2) e Torino (1-0) – non convincenti dal punto di vista del gioco ma che fruttano comunque 6 punti, mai disprezzabili – ed il quinto posto. Le due sconfitte con il Bologna (1-0) ed Inter (3-0), incontrata per la prima volta da avversario, fanno scivolare la Roma al settimo posto. I giallorossi riagguanteranno il quinto con la vittoria sullo Spezia (1-0) – ancora non continente – e poi quella con l’Atalanta.
A Bergamo è andata in scena la miglior partita della Roma di Mourinho, che mai come contro Gasperini ha fatto vedere la sua mano. Gioco concreto, intelligente, fatto di micidiali ripartenze e cinico al limite del masochismo. Dea spazzata 4-1 da una Roma travolgente. Una Roma che doveva essere – ed è stata – il terremoto avvertito in quella mattinata, dirà nel post Mou. La stagione, tuttavia, si chiude con grande amarezza per lo scialbo pareggio (1-1) contro la Samp.
EUROPA COL BRIVIDO – Altalenante in campionato, montagne russe in Conference League. In una competizione di cui non ha mai mancato di far sottolineare la scarsa considerazione che vi riserva – difficile, da una parte (la sua) dargli torto – mai nessuno avrebbe creso a così tanta fatica per spuntarla nel girone.
Un gruppo che ovviamente rappresentava il livello della terza competizione europea, quindi di livello assolutamente non eccelso. Un girone, però, che ha visto la Roma soffrire tremendamente e sgomitare per aprirsi il varco del primo posto. Primato che, oltretutto, rischiava di essere definitivamente compromesso in seguito alla vergognosa gara di Bodo. Tragedia per la Roma ed anche per lo stesso Mou, che mai prima di quel momento aveva subìto 6 gol. La maledizione norvegese si è ripetuta poi anche al ritorno, terminato con un pareggio (2-2).
Il primato del girone è stato alla fine conquistato grazie alla vittoria (4-0) contro lo Zorya Luhansk e al successo sofferto (3-2) in casa del CSKA Sofia. Data la bassa qualità degli avversari, difficilmente qualcuno avrebbe potuto immaginare l’enorme fatica della Roma. Le ragioni sono da riscontrare in un approccio mentale complessivo sbagliato ed in qualche scelta di turnover che poteva essere fatta.
LE SOMME – In un percorso ondivago, diversi sono gli spunti di riflessione. Il primo: Mourinho è Mourinho, c’è poco da dire. La squadra, forse, non è all’altezza dello Special One. Sulla monoposto giallorossa si è seduto uno tra i migliori allenatori nella storia, che può spingere la macchina fino ad un certo punto. Se però la stessa non riesce a raggiungere – e mantenere – i giri per restare ad alta velocità ogni discorso resta fine a sé stesso. Che gli si dia una macchina ben assestata, poi potranno esserci i giudizi travestiti da sentenze.
Punto secondo: le idee di gioco scarseggiano. È inevitabile non farlo notare ed inutile per tutti dire il contrario. Contro quelle squadre più arroccate – Genoa, Torino, Spezia e Samp, soprattutto, lo confermano – la Roma fa troppa fatica. Il potenziale per produrre qualcosa in più c’è e come. Sta a Mou, quindi, cercare di cucire di volta in volta il miglior abito possibile.
Un abito che sia camaleontico, che nasconda le imperfezioni ma che ne valorizzi i punti di forza. Gli obiettivi – come quello dichiarato della Champions – passano soprattutto nei punti a disposizioni in questo tipo di partite. Faticare per creare occasioni da gol – ed anche qui c’è da lavorare sul cinismo – è un difetto che a lungo andare può essere controproducente. La ripartenza del campionato – la prima sarà contro il Milan in trasferta – è alle porte: vedremo se il nuovo anno avrà portato nuove idee. Magari anche grazie a Salvatore Foti, suo nuovo vice.
Punto terzo: la gestione. In campo e fuori. Di giocatori e parole. Altra caratteristica che potrebbe giocare a favore – e le probabilità sono alte – è quella di affidarsi ad un ristretto, ristrettissimo gruppo di fedeli. Se è vero che in alcuni ruoli mancano ricambi affidabili – leggasi terzino destro, su tutti – è pur vero che in alcune occasioni Mourinho abbia calcato troppo la mano su determinati elementi, i quali non avrebbero disprezzato maggior riposo. Non gli è stato concesso perché – come detto – gli occhi di Mou sono per pochi eletti.
Eletti che vengono elogiati di tanto in tanto, a sfavore delle seconde linee. Intendiamoci: Mourinho è un maestro della comunicazione. Qualcosa che forse si poteva evitare sono però le dichiarazioni volte a scalfire un invalicabile confine tra titolari, mezzi titoli e seconde (terze, spesso) linee. J’accuse che – senza essere maliziosi – saranno per motivare di più i diretti interessati, lanciare messaggi più o meno diretti ma che se ripetute come fatto potrebbero rivelarsi fatali per la condizione psicologica di chi le subisce. Bodo può essere preso come esempio.
Il quarto, ed ultimo. Assodate le responsabilità più o meno soggettive di Mourinho, è bene soffermarsi sugli arbitraggi. Le direzioni di gara hanno spesso contribuito ad influenzare completamente i risultati delle partite – in particolar modo quelle di cartello – della Roma. Ne è la riprova la più semplice delle conferme. Dopo aver arbitrato la Roma, il direttore di gara imputato viene fermato per un turno (Maresca dopo Roma–Milan) o retrocesso in Serie B (Pairetto per Bologna-Roma). Che con il nuovo anno possa risolversi anche questa fastidiosa tendenza. Voto: 6,5.