La Repubblica (A. Di Carlo) – È la notte della Roma che sbanca San Siro, della prima vittoria di Mourinho contro l’Inter da avversario, vissuta a bordo del bus giallorosso nel parcheggio, ma soprattutto è la notte del grande rimpianto dell’Inter, di non aver affondato il colpo e aspettato troppo per portare in nerazzurro un talento puro e geniale come Paulo Dybala.
Perché anche quando le cose non vanno, basta dargli il pallone giusto e lui lo trasforma in oro. Come quando Spinazzola lo cerca sul secondo palo e lui, di prima intenzione, come fanno solo quelli che danno del tu al pallone, impatta di precisione e potenza la sfera: tiro che Handanovic può solo sporcare e il settore ospiti che esplode.
La corsa verso la bandierina mentre sfida con gli occhi il pubblico di San Siro con la sua celebre “Dybala-mask”. Poi si volta di spalle, con i pollici che vanno ad indicare nome e numero. Come a dire: “Ecco cosa vi siete persi”.
I tifosi nerazzurri ammutoliti, colpiti e affondati, incassano il colpo senza nemmeno fischiare. Perché l’arte non si discute, si ammira, anche quando non la si capisce fino in fondo (tredicesimo gol siglato alle milanesi). Ma il talento di Dybala non ha bisogno di complesse traduzioni, è cristallino ma traducibile in numeri: quattro gol in sette partite di campionato, cinque su nove totali se aggiungiamo quello siglato all’Helsinki in Europa League. Tradotto: se ce l’hai in squadra, è più probabile che a fine gara sia tu a festeggiare.
Solo un crampo al polpaccio stoppa il cronometro della sua gara all’ora di gioco: cambio concordato si mormora da bordo campo, la sensazione, guardando i suoi occhi, è che ne avesse ancora, o meglio che avrebbe voluto regalare ancora un po’ del suo calcio sotto le luci di San Siro. Ma questo Mou lo sapeva, per questo ha stravolto l’attacco mandando in panchina Abraham e protetto la partita dell’argentino. Un capolavoro tattico che ha messo Dybala nella condizione di fare la differenza: a giocatori così bastano pochi minuti, figurarsi un’ora.