La Gazzetta dello Sport (A. Pugliese) – Insostituibile e contestato. È lo strano destino di Bryan Cristante, uno dei due giocatori (insieme a Pellegrini, il capitano) preso di mira da parte della tifoseria giallorossa in questo inizio di stagione. Con tanto di fischi (anche sonori) alla lettura delle formazioni, post sui social, messaggi alle radio romane. Eppure Bryan è sempre lì, non ci rinuncia mai nessuno. E domenica scorsa ha ripreso la Roma per i capelli, nel momento in cui il baratro per i giallorossi era dietro l’angolo, segnando il gol del pareggio (anche grazie alla deviazione decisiva di Busio), quello che ha ridato fiato e speranze alla squadra di Juric. Perdere contro il Venezia sarebbe stato letale, Cristante è stato decisivo.
Eppure Bryan sa già che non basterà, perché poi quando le convinzioni diventano sedimentazioni è anche difficile scrostarle via. Che non sia Rodri, De Bruyne o Modric poi lo sa bene anche lui e probabilmente non ha neanche l’intensità di Frattesi, Barella o Tonali. Ma da qui a definirlo scarso ce ne passa eccome. Insomma, sembrano lontani i tempi di “Amore c’ho l’amante, si chiama Bryan Cristante”, il cartello che gli regalò una tifosa nel giorno della festa per il trionfo in Conference League, con Bryan che lo mostrava con orgoglio sul pullman romanista, con tanto di Colosseo alle sue spalle. Oggi Cristante è nell’occhio della critica, a tratti anche feroce. Gli si rimprovera una lentezza di fondo, l’essere monopasso, sempre con la stessa andatura. Non gli viene invece riconosciuta l’intelligenza tattica, la capacità di adattamento o la sapienza nel saper leggere le linee di passaggio avversarie. “Cristante lo vedo come uomo d’ordine, è quello che capisce cosa succede in campo – ha detto Juric nei giorni scorsi – Lui e Pellegrini sono due grandissimi professionisti, si allenano benissimo. Sono convinto che presto faranno cambiare idea alla gente”.
Già, anche perché da quando Cristante è a Roma si sono succeduti ben sei allenatori sulla panchina giallorossa (Di Francesco, Ranieri, Fonseca, Mourinho, De Rossi e ora Juric) e nessuno ha mai deciso di metterlo da parte. Anzi, tutti ci hanno puntato ad occhi aperti, tanto che nelle classifiche delle presenze stagionali Bryan è sempre al top: lo è già nel corso di quella attuale, lo è stato alla fine delle stagioni 2018/19 (44 partite totali), 2020/21 (48) e 2023/24 (52), risultando invece secondo in assoluto nel 2022/23 (53 gare contro le 54 di Abraham, ma Bryan ha giocato molto di più dell’inglese a livello di minutaggio: 4.323 minuti contro 3.186). Di fatto, un pilastro assoluto per ogni allenatore che si è avvicendato alla guida della Roma. Con una sola stagione in cui è finito nelle retrovie (la 2019/20), ma solo perché per due mesi è stato fermo ai box a causa dell’infortunio subito a Genova agli adduttori.
Insomma, anche Juric si è allineato ai suoi predecessori, individuando in Cristante doti di equilibrio e lettura. Tanto è vero che in queste sue prime tre partite (Udinese, Athletic Bilbao e Venezia) il centrocampista azzurro è l’unico giocatore sempre presente, dall’inizio alla fine, insieme ai soli Angeliño e Ndicka. Sono loro tre gli insostituibili di Ivan, gli unici che non hanno riposato neanche un minuto. A differenza invece di Dovbyk, Mancini o Celik, gli altri tre che hanno giocato tutte e tre le gare della gestione-Juric, ma che almeno in una sono stati sostituiti. Adesso c’è da capire cosa succederà giovedì, in Svezia, dove uno con la sua fisicità servirebbe eccome. Proprio come a Monza, domenica prossima. Insomma, fischiato e insostituibile, lo strano destino del soldato Bryan.