La Gazzetta dello Sport (L.Calamai) – «Non è uno spareggio per il ruolo di anti-Juve ma la sfida di sabato contro il Napoli ha un sapore particolare. Ed è un passaggio fondamentale per chi ha ambizioni da scudetto. Quindi non è un spareggio ma insomma…». Eusebio Di Francesco si accomoda nel salotto inventato in piazza della Repubblica per il Festival del Calcio e con il collega Paolo Condò «gioca» per più di un’ora a tutto campo. Di Francesco sta cambiando velocemente pelle. Dalla favola Sassuolo, allo stress della Capitale: un salto triplo, ma contro Sarri ha delle buone statistiche. Nell’ultimo campionato sono stati due pareggi. E nella stagione precedente la squadra partenopea perse a inizio torneo in casa del Sassuolo. «Ma era un Napoli tatticamente diverso. Giocava il 4-3-1-2. Più verticalizzazioni. Sarri poi ha resettato tutto. E ha avuto la fortuna di avere alle spalle una società che gli ha dato il tempo per sviluppare le sue idee. È partito male, ma è stato aspettato. Ora il Napoli gioca a occhi chiusi. Costruisce il gioco da una parte del campo e lo finalizza dall’altra, come nel “lato debole” del basket. Calcio e basket hanno punti in comuni. La marcatura a uomo, a esempio. L’Atalanta di Gasperini esalta i duelli individuali. Chi ne vince di più vince la partita. Io preferisco i duelli per zone di campo. Ma il principio è lo stesso. La forza del progetto di Sarri sono le catene di destra e sinistra. Il Napoli non fa mai appiattire le sue linee».
Cosa le dice in questo momento la classifica?
«Che la Juve è ancora la favorita. A me dispiace non aver giocato con la Samp. Non è detto che avremmo vinto, però quella partita in meno si vede in classifica e infastidisce dal punto di vista psicologico. Peserebbe di meno se battessimo il Napoli».
Dopo l’Atletico Madrid, ha affrontato bene la critica di Dzeko…
«In quella gara ha toccato due palloni. Anche per demerito suo. Delle volte a caldo si dicono cose sbagliate. Io analizzo la partita con la squadra due giorni dopo per parlare a mente fredda. Il problema è che un allenatore nuovo ha bisogno di tempo per farsi capire. Nel calcio bisogna fare subito i risultati, ma dopo pochi giorni di ritiro è cominciato la tournée. E non potevo cambiare i programmi fissati da tempo. Non abbiamo avuto la possibilità di crescere nella maniera giusta. Poi sono iniziate le critiche. Hanno anche detto che non lavoro nella fase difensiva ma chi era in ritiro sa che ogni allenamento dedicavo 40’ alla linea».
Sta arrivando Schick…
«Intanto mi piacerebbe poterlo allenare. Si vede che ha l’istinto del campione. Non è solo una prima punta ma diventerà una grande punta centrale. Quando sarà pronto dovrò adattare la Roma alle sue qualità. Schick ama partire dal centro destra».
È ancora convinto della scelta Roma?
«Da calciatore scelsi la Roma perché convinto dal presidente Sensi. Avevo opzioni anche più importanti. Anche stavolta avevo altre possibilità, ma è stata una scelta di sentimento. Come allora. Con altre società non era scoccata la scintilla».