Gli occhi chiusi di chi deve vedere. Va in scena il teatro degli impuniti

La Repubblica (F.Merlo) – È ormai un teatro degli impuniti, la grande Roma, una sorta di parco-giochi plebeo dove solo i vigili, che sono addestrati appunto per vigilare, non si sono accorti dell’esecuzione in effigie al Colosseo dei quattro calciatori giallorossi, manichini impiccati alle 23,30 di giovedì con il coro del vaffanculo ritmato populo flagitante, a richiesta del pubblico, che infatti filmava, rideva, strabuzzava gli occhi, insomma si godeva la messa in scena. Né si erano accorti dei natatores a Fontana di Trevi – quattro in venti giorni – questi famosi pizzardoni che, “facce di ciechi e occhi senza sguardo“, non hanno visto i carnifices dei quattro giallorossi. Del resto neppure avevano beccato i foedatores di monumenti alla Barcaccia, al Pantheon e – di nuovo e soprattutto – al Colosseo che, come dice il mitico Gracco nel Gladiatore di Ridley Scottè il cuore pulsante” di questo giardino delle meraviglie che è il centro di Roma, sempre pieno di polizia comunale e tuttavia sempre incustodito, forse per omertà stracciona o forse per assenteismo da fannulloni con l’aria indaffarata. E va bene che gli Irriducibili della Lazio hanno intanto assolto anche l’impiccagione in effigie, come fosse goliardia, roba da Rugantino: erano “boiaccia” sì, ma anche bonari. E però la polizia di Stato non è ancora certa che i tifosi giustizieri non abbiano appeso quattro della loro stessa squadra per regolare conti interni. Comunque sia, l’Inquisizione, che a Roma ebbe la sua seconda capitale dopo Palermo, riservava la morte in effigie a chi scappava a nascondersi che in latino si dice lateo, e quindi latitanti, e qualche volta anche ai morti: “cane morto” gridano nella curve al brocco senza onore, al miles ingloriosus. […]

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