Pagine Romaniste (F. Belli) – Jean de La Fontaine diceva: “Spesso si incontra il proprio destino nella via che si era presa per evitarlo”. È proprio cercando di evitare un destino di delusioni e sofferenze che Giuseppe Giannini, chiamato il “principe” dal suo compagno di squadra Odoacre Chierico per i suoi movimenti eleganti e sopraffini, è stato sopraffatto. Un destino beffardo e triste scelto dal principio: non ha avuto nessun dubbio quel ragazzo nato al quartiere Trieste e cresciuto a Frattocchie ad anteporre l’amore per la Roma all’offerta del Milan, che già da tempo lo seguiva. L’esordio non è dei migliori: Liedholm lo fa esordire con il Cesena ma è un suo errore a regalare il gol della vittoria agli avversari. Il campione però non può essere fermato. La consacrazione sul campo avviene comunque pochi anni dopo, proprio col barone che di lui dirà: “Solo Rivera era più era più svelto nell’imparare”. Nel 1988, a 24 anni, è già capitano e trascinatore di una Roma che stenta e incappa nelle mille difficoltà della fine di un ciclo glorioso, quello degli anni 80′. L’apice della carriera è sicuramente il mondiale delle “notti magiche” del 1990, dove indossa la 10 e proprio a casa sua, all’Olimpico, segna il gol della vittoria contro gli Stati Uniti. Nessuno può però cambiare il destino, e quello del principe è ormai inseparabilmente segnato. La finale di Coppa Uefa persa contro l’Inter nel 1991, il palo contro il Torino che avrebbe regalato una Coppa Italia con una rimonta impossibile nel 1993, e poi quel rigore…
IDI DI MARZO
Un anno dopo quel maledetto palo, il 15 marzo del 1994, giorno delle idi di marzo romane, il principe si trova a 11 metri dalla possibilità di scacciare le ombre della B vicina un punto. E lo può fare contro la Lazio, che sta conducendo la gara con l’idolo di quegli altri, Signori. Il rigore viene parato da Marchegiani e scatta il finimondo. “Se uno ha un rigore e lo sbaglia, non è degno di stare in questa squadra”, dice patron Franco Sensi a fine gara. Il capitano delegittimato dal suo stesso presidente, romano e romanista come lui. Pochi mesi dopo sarà comunque affar suo scacciare l’incubo della retrocessione segnando contro il Foggia. Nulla però gli toglierà quella macchia, che lo segnerà per sempre. La sua avventura nella squadra che tifa fin da bambino e che l’ha visto crescere sta per finire. Due anni dopo, nella sua ultima stagione con la maglia giallorossa, di nuovo a marzo, maledetto marzo, il principe sfiora il riscatto. Immaginiamo per un secondo se Messi, sul 3-0 contro il Barcellona, avesse segnato e portato i blaugrana in semifinale. Ecco, sostituite Messi con Vavra e Giannini con Manolas e avrete Roma-Slavia Praga. “E poi c’è chi non crede alle favole, è un principe che ha preso sottobraccio la sua Roma”, l’indimenticabile commento di Cerqueti sul gol del 2-0, che portava la firma proprio di Giannini e che permetteva alla Roma di pareggiare la sconfitta d’andata. Si sbagliava però, perché il lieto fine non ci sarà nè quel giorno nè quattro anni dopo, nella cerimonia d’addio al calcio rovinata da alcuni tifosi e dalla Lazio campione d’Italia. Ma le storie a lieto fine, si sa, sono solo quelle che non iniziano mai.