Sessant’anni, oggi. Auguri a Peppe Giannini. Il Principe ha rilasciato un’intervista al Il Messaggero. Queste le sue parole:
Lei nel posto giusto ma nel momento sbagliato, no?
“In ritardo sulla prima Roma, troppo in anticipo sulla seconda, ma sono orgoglioso: nella mia vita ho fatto di tutto, però la prima parte della mia carriera è stata indimenticabile”
Metta nell’ordine le sue grandi delusioni.
“Roma-Lecce ’86, eravamo a un passo dallo scudetto dopo una rincorsa esaltante sulla Juve, poi la semifinale mondiale persa a Napoli contro l’Argentina nel ’90 e infine la notte contro lo Slavia Praga, la mia ultima con la Roma. C’è anche Roma-Torino, finale di Coppa Italia del ’93, ma mi consolo con il fatto di averlo vinto quel trofeo”.
Come è arrivata la Roma?
«In famiglia, essendo dei Castelli, c’era qualche laziale, ma a me colpi uno scudetto della Roma, in ceramica, che mio nonno teneva attaccato alla parete. E da lì, la passione per quei colori, ero innamorato di quello scudetto. Il destino ha voluto che, dopo un provino al Milan, mi prese proprio la Roma. Volevo l’Olimpico, la fascia, è arrivato tutto».
Si diceva che fosse un racco mandato per via del suo papà; Gildo, che era un dirigente di calcio, legato alla Roma.
«Le assicuro che non mi ci sono mai sentito. Le ho passate di tutti i colori e ho sempre reagito da solo alle avversità, compresa quella dell’esordio in A contro il Cesena, quando procurai la rete degli avversari. Tre giorni dopo giocai il derby con le giovanili: feci due gol e tornai subito in prima squadra».
La fascia quando arrivò?
«Quando Bruno Conti prese sei giornate di squalifica dopo gli insulti a Lanese in un Ascoli-Roma. Liedholm comunicò che sarei stato io il capitano».
Ha vissuto più noie o privilegi da capitano della Roma?
«Dietro a quel pezzo di stoffa c’è una storia, una città, le sue tradizioni, le passioni di un popolo. La fascia è stata sul braccio di gente come Losi, Di Bartolomei e tanti altri. Sì, tante responsabilità, ma sempre un piacere».
Prova invidia per Totti e De Rossi?
«No, sono contento per Daniele, lui conosce le mura di Trigoria e basta quello per sapere cosa sia il meglio da fare, per questo è l’uomo giusto per la Roma. La storia della mancanza d’esperienza è una fesseria. Quando conosci a memoria quell’ambiente nal una marcia in più».
Il post calcio di Totti è un po’ come il suo: fuori dalla Roma.
«A me dicevano sempre «tu sei Giannini, non posso mica darti gli allievi nazionali». Con questa storia sono sempre rimasto fuori, e per lui è un po’ cosi. Tutte scuse».
Il problema è che lei non si è mai saputo vendere.
«Si, probabile. Sono sempre stato cosi, lo ha detto anche Pellegrini in una intervista a Il Messaggero: non c’è bisogno di fare il ruffiano. Io ho sempre fatto quello che sentivo, non studiavo a tavolino i miei comportamenti. Andavo a braccio».