E sì che un «anarchico» a casa Agnelli fa davvero un effetto particolare. Nell’Africa di Gervinho oggi c’è stranamente posto anche per Torino, la città più lontana possibile per stile e concetto da Anyama, quartiere di Abidjan, lì dove l’attaccante è cresciuto, lì dove ha imparato a vivere. «Le fughe improvvise sono un modo per non essere prede», ha raccontato in un’intervista l’ivoriano a Repubblica. Concetto che vale per la Roma tutta, al netto di tutte le frasi ovvie che circordano una sfida alla sesta giornata. Guai a dar retta, almeno non è giusto farlo fino in fondo: è reale sfida scudetto, perché chi va avanti oggi si prende un vantaggio psicologico sensibile, si prende l’ipotesi di una piccola fuga. E preda davvero non vuole essere Garcia: lo è già stato un anno fa, quando si buttò con il corpo troppo in avanti e finì infilzato dai Vidal di turno.
Quella volta Ecco, no. L’errore non va ripetuto, sarebbe un peccato farlo. E così Garcia ha mostrato a tutti in video come si batte il nemico. Che «non si nomina», dice Gervinho, ma si studia, per capire come batterlo: allargare il gioco, stile Atletico Madrid, poi colpire. Pare il copione perfetto per l’ivoriano, anarchico ma non al punto di non mettere in pratica i consigli dell’allenatore. Perché il nemico è pericoloso, la storia in fondo non può essere ignorata. Le due sconfitte dello scorso campionato, così diverse, hanno lasciato il segno a Trigoria, almeno parzialmente attenuato dalla vittoria in Coppa Italia, quarti di finale, quel tacco di Gervinho sotto la curva Sud che in fondo è il segnale tangibile dell’anarchia, il colpo fuori da ogni schema e ogni regola. Chissà che non sia un indizio, chissà che per affondare il nemico non serva ancora una volta davvero un colpo non prefissato, un colpo alla Gervinho, l’unico capace di regalare a Garcia una vittoria contro la Juventus. E sì che stavolta i tre punti avrebbero un peso specifico ancora maggiore: non è un’eliminazione diretta, questa, ma sarebbe un dribbling ben riuscito alla scalata più complicata della stagione.
Comunque decisivo Stagione, anche l’attuale, iniziata sotto il segno di Gervinho, per quanto anche lui finito nella rete del turnover di Garcia. Un modo per preservarlo, non certo perché la Roma possa pensare davvero di fare a meno con costanza delle folate dell’ivoriano, il vero cuore del gioco franco-romano, ripartenze e pizzicate, solidità e velocità. Gervinho ne è l’esempio perfetto e Garcia l’ha capito più degli altri. Più di Arsene Wenger, che pure è un maestro in questo, ma all’Arsenal mandava in panchina l’ivoriano molto più spesso di quanto Garcia non gli chieda il rispetto delle regole e degli schemi dentro il campo. Perché il manifesto del tecnico è chiaro, ormai da un pezzo: dalla trequarti in poi, in fase offensiva, spazio libero all’inventiva, alla fantasia. Verrebbe quasi da dire all’anarchia, ma in fondo non sarebbe poi così corretto al 100 per 100. Anche perché vicino all’ivoriano ci sarà chi quell’anarchia proverà a governarla, con gli assist e i lanci, le strizzate d’occhio e il mezzo sorriso. C’è Totti, «anche lui ha fede in me» dice Gervinho. Fede nell’Africa, fede nella Roma, fede nello scudetto. Garcia la direbbe così, con una delle sue tipiche frasi: il nemico non si nomina, si batte. Stasera a Torino, per non essere preda, bisognerà correre tanto.