Un passato alla Roma mai dimenticato, con la speranza che le strade si possano incontrare nuovamente in futuro. Manuel Gerolin, ex calciatore giallorosso ora direttore sportivo dell’Udinese, è stato intervistato dall’emittente radiofonica Centro Suono Sport. Nel corso dell’intervista, Gerolin ha raccontato alcuni aneddoti della sua esperienza romana, confessando anche il desiderio di tornare un giorno a lavorare a Trigoria, nei panni del dirigente. Di seguito, le sue dichiarazioni:
La tua avventura alla Roma?
Io sono arrivato nel primo anno di Eriksson, facemmo una rimonta bellissima. Giocavamo un calcio innovativo per quei tempi, purtroppo non abbiamo vinto lo scudetto per quel Roma-Lecce, però è un’annata che viene comunque ricordata dai tifosi per quella rimonta che facemmo.
È vera la voce secondo la quale avevi già comprato la vernice per dipingere la tua Panda per la vittoria dello scudetto?
Non è vero (ride, ndr). Forse l’ho comprata troppo in anticipo. Sono passati tanti anni e ancora oggi mi chiedo come sia stato possibile perdere una partita del genere. Tanti episodi del genere sono avvenuti nel calcio, pensiamo anche alla sconfitta del Milan in Champions League nel 2005 quando vinceva 3-0 contro il Liverpool.
La tua Roma avrebbe potuto vincere di più?
Sì, purtroppo nella mia avventura alla Roma ho perso una finale di Coppa UEFA contro l’Inter. Abbiamo giocato con grande cuore e con grande grinta, siamo stati sconfitti da una squadra che all’epoca era molto forte. Ce la siamo giocata sino alla fine, ma con il 2-0 dell’andata in favore dei nerazzurri la situazione era già compromessa. Ci siamo consolati con la Coppa Italia vinta contro la Sampdoria che era diventata campione d’Italia.
Cosa ricordi della doppietta che hai segnato al Bordeaux?
Per noi diciamo che fu una passeggiata, loro non erano in grandi condizioni finanziarie. Vincemmo 5-0 e, oltre alla mia doppietta, ci fu la tripletta di Völler.
Nel tuo primo anno alla Roma hai segnato gol pesanti contro Napoli e Inter…
Noi avevamo una squadra molto offensiva, il cardine davanti alla difesa era Ancelotti ma tutte le mezzali e i terzini spingevano. Boniek era una falsa mezzala ed era molto offensivo, c’erano Bruno Conti, Ciccio Graziani, avevamo tanti giocatori offensivi e molto veloci, Boniek scardinava le difese. Quella Roma era una squadra moderna adatta per il calcio moderno. In squadra c’era anche Nela, tra i terzini a livello tecnico più forti d’Italia, se non avesse avuto Cabrini davanti sarebbe stato un titolare con l’Italia. Io, invece, ero un giocatore più di forza e di dribbling, facevo qualche gol in più rispetto a Nela, lui però faceva più cross.
Hai avuto la possibilità di diventare un dirigente della Roma?
Sono legato alla Roma, ne sono tifoso e mi piacerebbe. Ci ho sempre provato ma ci sono sempre state grandissime difficoltà. Ho fatto un lavoro nello scouting tanti anni fa, ho fatto grande esperienza e il mio sogno era quello di portarlo a una grande squadra, che ha la forza di comprare grandi giocatori ma sa come funziona il mondo e può adottare diverse strategie. Il mio obiettivo era quello di arrivare alla Roma, perché il lavoro paga sempre. Ci ho sempre provato ma realmente non ci sono mai riuscito. Comunque, mai dire mai. La Juventus fa questo tipo di lavoro nella maniera migliore, oltre a prendere Ronaldo segue molti giovani prima ancora che altre squadre puntino su di essi. Le plusvalenze non si fanno al computer come sento dire ma si fanno lavorando, si fanno con la qualità. Puoi avere anche 100 persone, ma se non sono qualitative arriverai sempre dopo.
Nella stagione 1986/1987 la Roma era seconda ma poi ci fu un calo…
Ci fu un calo che portò all’esonero di Eriksson, fu un calo generale.