La Gazzetta dello Sport (M.Cecchini) – Che la vita in fondo sia una ruota che gira, a 52 anni Rudi Garcia lo ha capito da parecchio. Almeno da quando – affacciato sul percorso della Parigi-Roubaix – scopriva che a un certo punto anche il pallone doveva fare silenzio quando i corridori masticavano fango e fatica sul pavé. Lilla, la città in cui è diventato campione di Francia, gli ha insegnato questo e tanto altro, prima che Roma lo rapisse e rinnegasse, perché si sa che la fedeltà nel calcio è materia di sogni. In un servizio che andrà in onda oggi ne «I giorni di Parigi», su Rai 3 (ore 20.10) l’allenatore di Nemours pare illuminarsi quando racconta i suoi 6 anni a Lilla da calciatore e i 5 da allenatore. Così ci è venuta voglia di cercarlo per farci fare da guida in città e nell’Europeo.
Garcia, cominciamo dal ciclismo e da un altro Rudi appena scomparso.
«Sì, Altig, cui devo il mio nome per la passione che aveva mio padre per lui. Quando ho saputo la notizia ho pensato subito a papà. Il ciclismo lo adoro. Si figuri che il giorno della Roubaix, quando finivamo di allenarci, andavamo in fondo a una stradina al di là del terreno di gioco per vedere passare i corridori».
L’impressione è che Lilla sia una città grigia.
«Non è vero. Le case sono quasi tutte di mattone rosso e questo dà un senso d’identità. In fondo, è esattamente come nel film francese di Danny Boon, “Giù al Nord”. Qui si piange due volte: quando si arriva – ovviamente per il clima – e quando si va via. Forse perché ha conosciuto il lavoro in miniera, e quindi la fatica, la gente è generosa, più portata ad aiutarsi nelle difficoltà. Si figuri che quando tornai da allenatore, un giorno – sapendo che avevo un cane – un dentista che non conoscevo mi lasciò per tre settimane casa sua per non farmi stare in albergo. E poi la città vecchia è bellissima. Quando mi stabilii, diventò il mio quartier generale, e mi fece scoprire tanti amici italiani. Pensi che, fatto l’accordo con la Roma, il mio primo corso di lingua me lo ha fatto un cameriere di un ristorante italiano».
Ci si diverte parecchio?
«Certo, e poi siamo a un passo dal Belgio, un Paese che – lei non ci crederà – è famoso per le feste. A Lilla spesso i ragazzi, se vogliono divertirsi, attraversano il confine».
Qual è il suo ricordo più bello e più brutto della città?
«Il più brutto non me lo ricordo, evidentemente l’ho rimosso. Il più bello è quando nel 2011 vincemmo titolo e Coppa di Francia. Ma non solo per le vittorie in sé. Mi emoziona ricordare la partecipazione. In Coppa giocammo allo “Stade de France” e, proprio come vuole Conte, quarantamila persone vennero da Lilla con la maglietta rossa addosso. Poi invece quando vincemmo la “Ligue” in casa del Psg, fu bellissimo il ritorno a casa da Parigi e la sfilata sul pullman. E’ una cosa che legherà per sempre me a quel gruppo di ragazzi».
Il simbolo della squadra è il dogo, un cane guerriero. E allora come si orienterà il tifo di Lilla?
«Difficile dirlo. Il dogo è aggressivo e la squadra era così: correva tanto, giocava all’inglese. Qui impari a dare sempre il 100%, ma i tifosi sanno giudicare il calcio».
E lei come giudica l’Italia?
«E’ solida. Si vede l’organizzazione che ha portato Conte, innestata su una difesa fortissima ed esperta. E non è vero che non ci sia talento, secondo me gli azzurri ne hanno. Tra l’altro, vedo una gioia nello stare insieme che fa ben sperare. Senza contare che essere già primi, consentirà di farne riposare parecchi».
Le sono piaciuti i «suoi» ragazzi, De Rossi e Florenzi?
«Daniele ha giocato molto bene, ma non mi sorprende: è un campione. “Flore” è entrato in campo con personalità. Io lo vedo meglio a destra, ma si muove bene anche a sinistra».
Cosa devono temere di più gli azzurri dell’Irlanda?
«Il carattere e la forza. E’ una squadra che non molla mai».
Quali sono le sue favorite?
«Resto dell’idea che avevo all’inizio: la più forte è il Belgio, ma vedo bene anche la Croazia. Spagna e Germania sono realtà consolidate, mentre sulla Francia è ancora presto per un giudizio definitivo».
Cosa non le piace di questo Europeo?
«Il fatto che, con 24 squadre, quasi tutte le terze passino agli ottavi. Così il primo turno non serve quasi a niente».
Essendo sotto contratto, lei non vuole parlare di Roma…
«Esatto».
…però una cosa gliela chiediamo: è più facile rivederla in Serie A, Liga o Premier?
«Mi creda, ancora non lo so».
E su questo argomento, lo sprint gentile con cui ci saluta sembra davvero degno della Parigi-Roubaix.