La Repubblica (P. Torri)Ora tocca ai Friedkin. Accettando nella rifondazione della Roma, anche il rischio d’impresa. Avendo come obiettivo quello di centrare quella qualificazione alla Champions che da sei anni il club segue in tv, con introiti penalizzanti almeno da 200 milioni.

Quando parliamo di rischio d’impresa, vogliamo dire che la società dovrà avere il coraggio di andare anche oltre i parametri economici idcali, per allestire una Roma in grado di tornare a essere protagonista nella coppa più ricca che c’è. Un rischio che a nostro giudizio dovrà essere af frontato per tre motivi sostanziali.

Il primo. Costruendo una Roma in grado di puntare concretamente a uno dei primi quattro posti, vuole dire, una volta centrato l’obiettivo, che quel cash in più speso in sede di mercato, rientrerebbe dalla porta principale, considerando che qualificarsi vorrebbe dire la garanzia di incassare non meno di 60 milioni.

Il secondo. Gli avversari. A eccezione dell’Inter campione e di un’Atalanta ormai entrata di diritto tra le grandi, gli altri contender sono alle prese con problemi di varia natura. Al Milan i giudici ci hanno fatto sapere che stanno cercando di capire chi sia il vero proprietario. Alla Juve con Motta hanno scelto di provare a cambiare il dna del club. Al Napoli pare che vogliano andare via tutti, nonostante l’imminente arrivo di Conte. Alla Lazio è tutto un quiz, tra veleni interni e una società sfiduciata. Insomma, c’è lo spazio per andare all’attacco delle prime posizioni.

Il terzo. I paletti del fair play finanziario quest’anno saranno meno restrittivi. Alla voce ingaggi c’è già un risparmio di circa 30 milioni. Considerando il meno 47 per i protagonisti che il 30 giugno scompariranno dalle buste paga (Mou, Lukaku, Spinazzola, Rui Patricio, Huijsen, Kristensen, Azmoun, Renato Sanches, Llorente) da cui sottrarre i ritorni di Belotti, Kumbulla, Shomurodov, Solbakken, Darboe, l’aumento dello stipendio di De Rossi e un Angeliño raddoppiato (è arrivato a gennaio).