La Repubblica (P. Torri) – Provochiamo, avendo come obiettivo quello di avere una risposta. E se a salutare fossero i Friedkin? Da mesi non si fa altro che parlare del futuro di Mou. Resta, va via, ha un contratto ancora per un anno, vuole parlare con la proprietà, in una sorta di balletto a intermittenza in cui è buono tutto e il suo contrario. Nessuno, però, si domanda quali siano le intenzioni della proprietà.
Che, da quando è sbarcata da queste parti, oltre ad avere investito fin qui 800 milioni abbondanti di euro, uscire dalla Borsa, vincere un trofeo europeo dopo 61 anni, progettare un nuovo stadio, si è isolata da tutti e tutto, in un ostinato silenzio scelto come stile societario, indifferente a qualsiasi sollecitazione nella convinzione, forse, che se non parlano sbagliano di meno.
Non è riuscito a farli parlare neppure quel maestro di comunicazione che è lo Special One. Che, da mesi, li sta sollecitando in tutte le maniere possibili. Eppure Mou le ha provate tutte. Al punto che a noi ha fatto pensare al Michelangelo che scolpisce il Mosè e poi, estasiato davanti al suo capolavoro, la prende a martellate chiedendo “perché non parli?“.
In molti rispondono perché sono americani, c’è un contratto in corso, perché mai dovremmo parlare di futuro? Perché l’azienda calcio, si potrebbe rispondere, ha dinamiche diverse. Perché i tifosi, che nella stragrande maggioranza sono al fianco dell’allenatore, una risposta la vorrebbero conoscere. E a loro, non tanto alla stampa, una risposta sarebbe dovuta per spiegare quello che riserverà il futuro, pur nella consapevolezza che loro, i tifosi, poi saranno sempre lì, a incrementare il numero dei sold out (con relativi incassi).