Paulo Fonseca, allenatore del Lille, è stato intervistato da Sky Sport ed ha parlato anche del suo percorso alla Roma. Questo il passaggio completo sui giallorossi:
Quando ha capito che sarebbe diventato allenatore?
Non ho mai pensato di essere allenatore, ma a 28/30 anni ho iniziato a pensarci. Ho avuto allenatori che mi hanno indirizzato su questa via, così ho fatto il corso e a 32 ero già motivato per iniziare come allenatore e finire la carriera da giocatore. L’obiettivo era arrivare nella massima divisione portoghese, non ho mai pensato ad altri campionati, ma ora è l’opposto. Voglio continuare nei migliori campionati e difficilmente ritornerà in Portogallo.
L’esperienza allo Shakhtar le ha cambiato la vita?
Sì, non solo professionalmente, anche dal punto di vista personale. Quando ho giocato contro lo Shakhtar a loro era piaciuto il mio modo di giocare del mio Braga. Poi volevano cambiare e hanno scelto me, è stata una buona opportunità. Questa è stata la mia prima volta fuori, ho disputato la Champions League. In questo momento è difficile parlare dell’Ucraina, sono molto legato a questa nazione, anche perché ho conosciuto mia moglie lì. Ho casa e tanti amici, l’Ucraina è la mia seconda patria. E’ molto molto difficile guardare ciò che sta succedendo. Io ero lì quando è iniziata la guerra. Per noi che viviamo qui non è difficile perché lo vediamo in televisione, ma la verità è che gli ucraini stanno soffrendo e tante persone stanno morendo. Noi possiamo fare di più, è difficile per me guardare la sofferenza di quel popolo senza fare niente. Continuiamo a guardare, ma quello che facciamo non è sufficiente né per l’Ucraina né per il mondo.
Il 24 febbraio era lì, doveva partire ma poi è scoppiata la guerra…
Ero a casa quando le bombe sono arrivate a Kiev. E’ stato un momento tragico, di panico per tutti. Un’esperienza che solo nei film si vede. Quando hai un bambino di due anni è difficile scappare, pensare in modo equilibrato, ma non è niente confrontandolo a ciò che stanno vivendo ora le persone. C’era il panico. L’ambasciata del Portogallo mi ha aiutato, ma sono state 30 ore di viaggio senza sapere cosa potesse succedere. Avevamo due bambini, è stato difficile.
Come si spiega ai bambini questo?
Il mio bambino non ha capito quello che è successo, ma oggi è difficile non parlare di questo perché lui guarda e vede ciò che è successo. Spero che un giorno questo possa finire.
Com’è stato l’inizio a Roma?
L’inizio è stato molto bello perché la Roma è un club diverso dove le persone sono molto calorose. Non è stato facile essere l’allenatore dei giallorossi.
La città le è rimasta addosso…
Mi è piaciuto tanto vivere a Roma, la città è bellissima. È diversa da tutte le altre.
Come ha preso l’arrivo di Mourinho?
Ci siamo scambiati alcuni messaggi, io ho capito la situazione. Lui è stato onesto con me.
Su Tiago Pinto…
È una persona che stimo molto, sta facendo un gran lavoro alla Roma. È stato sempre onesto con me. Ho vissuto un periodo difficile, i Friedkin sono arrivati e non avevamo il direttore sportivo, per loro era tutto nuovo perché non avevano mai seguito il calcio. È stato un periodo difficile perché non ho avuto il direttore sportivo finché non è arrivato Tiago Pinto.
Sui Friedkin…
I Friedkin hanno portato entusiasmo e volevano un progetto nuovo, così hanno investito e portato un allenatore che ha vinto tanto. È normale.
Sui tifosi della Roma…
Ancora oggi sono molto calorosi con me. Quando ho vissuto la situazione della guerra in Ucraina ho avuto tanto sostegno dai romanisti. Anche oggi ne ricevo molto, è impressionante. Continuo ad amare la città e i romanisti.
Cos’è Mourinho per i portoghesi?
È un riferimento per tutti. Ha vinto tanto, ha ispirato tanti allenatori perché ha iniziato un processo che ha cambiato il modo di fare gli allenamenti e di fare gioco in Portogallo.