La Gazzetta dello Sport (M. Cecchini) – Forse era nel suo destino il doversi muovere su più tavoli. Se il talento non gli avesse accarezzato i piedi, infatti, la leggenda racconta che probabilmente Alessandro Florenzi avrebbe finito per fare il cameriere nel ristorante di famiglia.
Invece, grazie alla lungimiranza di Bruno Conti, il ragazzo nato a Vitinia, a 30 anni può guardarsi indietro e vedere che probabilmente ha fatto più strada – in senso metaforico e reale – di quanto avrebbe immaginato. Ora che sembra essere ad un passo dall’annusare l’ambiente del Milan – con tutto il carico di storia che piomberà sulle sue spalle ormai robuste – è possibile che “Flo” veda scorrere la sua vita come un film con una cinepresa piazzata sopra un ottovolante.
Gli inizi all’Axa, il passaggio alla Lodigiani, quindi il fiuto di Conti e della Roma. Ma Alessandro non ha il fisico e la predestinazione di Totti, De Rossi o Aquilani. Così, dopo l’esordio in Serie A, nel maggio 2011, sostituendo proprio il Capitano (il nome ci pare superfluo), quell’estate stessa va a cercare gloria a Crotone, dove comincia ad imparare i rudimenti dell’arte del terzino. Lo fa così bene che il club giallorosso lo ricompra per 1,25 milioni grazie a una provvidenziale clausola messa nel contratto con i calabresi.
Da quel momento, però, meglio allacciarsi le cinture, perché il suo rapporto con la Roma incomincia ad avere altimetrie degne di un Giro d’Italia. In otto anni, infatti, passa dalle coccole riservate ai talentuosi “enfant du pays” all’indegno soprannome di “trenta denari” regalatogli dagli ultrà, quando (doverosamente) nel 2018 tratta il suo rinnovo di contratto dalla sua posizione di forza di essere un giocatore della Nazionale e un titolare di una squadra che solo tre mesi prima era arrivata alla semifinali di Champions League.
Insomma, il “bello de nonna” (storica, nel 2014, la sua arrampicata in tribuna per abbracciare la nonna Aurora dopo aver segnato un gol al Cagliari), l’autore del gol (il suo primo in Champions) al Barcellona da 55 metri, che nel 2015 gli vale la nomination al premio Puskas per una delle tre reti più belle dell’anno, lentamente entra nella spirale del “nemo propheta in patria”.
A zavorrarlo un po’ è anche l’enigma del ruolo dove impiegarlo. Nasce attaccante esterno, viene provato a centrocampo da mezzala e addirittura anche da trequartista, ma alla fine sembra dare il suo meglio come esterno di difesa. E non è detto che l’ottovolante abbia finito la sua corsa neppure in questo caso, perché Pioli potrebbe riportarlo al punto di partenza.
È da terzino, comunque, la posizione in cui ruba l’occhio, tanto da far scomodare, nei giorni belli, il paragone con Dani Alves (copyright Walter Sabatini). Il confronto, anche agli occhi dei tifosi, non gli giova, ma dopo gli storici saluti, di Totti e De Rossi da romano e romanista diventa ineluttabilmente il predestinato alla fascia di capitano. Eppure neppure questo lo salva dalle critiche. Anzi, forse le fa addirittura aumentare, perché nello spogliatoio i leader paiono altri, Dzeko su tutti, e la primogenitura diviene quasi un elemento di disagio.
E così si arriva ai titoli di coda, anche se non dal punto di vista contrattuale, visto che i vari trasferimenti del giocatore – da quelli all’estero al rossonero – avvengono solo in prestito. In ogni caso Florenzi capisce che il suo tempo alla Roma è terminato.