Corriere dello Sport (A. Polverosi) – La Fiorentina usa la testa solo per segnare, e lo fa bene, lo fa spesso, dodici volte in campionato, quanto nessun’altra in Serie A. Se la usasse anche per ragionare sarebbe una grande squadra. Invece è la regina delle discontinue, un giorno ti incanta, il giorno dopo ti tradisce. Se qualcuno ricorda i primi 45′ di Budapest, contro un avversario di una evidente modestia tecnica, e lo paragona al primi 45′ di ieri sera, contro un avversario che in attacco aveva Dybala e Lukaku, rischia di non capirci niente. Tutto il peggio all’inizio contro il Maccabi, tutto il meglio nello stesso periodo contro la Roma. La Fiorentina è questa, prendere o lasciare.

Stava per lasciare qualcosa di poco memorabile la Roma ieri al Franchi, l’immagine sbiadita (quella del primo tempo) di una squadra che De Rossi ha voluto correggere chissà perché e l’ha corretta nel modo sbagliato e nella partita sbagliata. Il problema non è nel passaggio dalla difesa a 4 alla difesa a 3, questi sono numeri. Il problema è che se decidi di marcare in parità numerica (Mancini su Sottil, Llorente su Belotti e Ndicka su Gonzalez) e perdi tutti i duelli diretti perché manca il sostegno di Angeliño da una parte e di El Shaarawy dall’altra, devi fare in fretta a cambiare. Non è stato svelto nemmeno a sostituire Mancini dopo l’ammonizione presa al 6′: ha rischiato due volte il secondo giallo con altri due falli e De Rossi lo ha tolto dolo dopo mezz’ora.

Quando dopo l’intervallo De Rossi è tornato alla normalità, con la difesa a quattro e Angeliño a sinistra, con tre centrocampisti e tre attaccanti, la Roma ha ripreso confidenza con se stessa, ma soprattutto ha ripreso la partita e alla fine anche il risultato. La Fiorentina ha avuto di nuovo la capacità di reagire vista contro la Lazio, quando aveva dominato il primo tempo e lo aveva chiuso sotto di un gol. Non ha resistito nel finale all’impeto di rabbia della Roma che ha pareggiato all’ultimo assalto. È un punto che a Italiano serve poco, ma nemmeno De Rossi può rallegrarsene troppo, se non per il modo con cui l’ha conquistato.