Claudio Fenucci, amministratore delegato della Roma, cominciamo dall’attualità: Osvaldo avrebbe preferito che il suo cazzotto a Lamela fosse rimasto nello spogliatoio, e invece siete stati proprio voi a darne notizia. Perché?
«Abbiamo pensato che dare un segnale sui principi di correttezza e comportamento fosse più importante che difendere una posizione dall’esterno. Conosco bene Osvaldo, so che ha l’intelligenza per capire i motivi della nostra scelta. Detto questo, il gruppo ha dato subito segnali di coesione».
Magari a scapito di Luis Enrique… Totti lo ha ribattezzato «Zichichi», lei come lo definirebbe?
«È un insegnante. Più che inventarsi una scienza, sta cercando di portare una filosofia nuova. La sua proposta calcistica ha contenuti tecnici diversi, ci vuole tempo perché venga assimilata. Per quanto si è visto finora, comunque, sono ottimista: nella seconda parte della stagione le prestazioni cresceranno».
Ma i tifosi cominciano a chiedersi quando e se la Roma americana vincerà qualcosa?
«Dobbiamo essere onesti. Abbiamo ricevuto un’eredità finanziaria complessa, la Roma nel recente passato ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità. Abbiamo numeri negativi e li avremo per un po’: il percorso di risanamento che abbiamo iniziato ci consentirà di tornare in equilibrio nel 2014. Fino ad allora, dovremo essere bravi a restringere la rosa e ridurre il monte ingaggi pur non rinunciando agli investimenti. Ma sempre su giocatori di prospettiva, talenti da crescere».
Questo significa che per i prossimi tre anni la Roma non potrà permettersi un Ibrahimovic o un Messi?
«Evidentemente è così».
Eppure avete previsto un investimento enorme per rinnovare il contratto di De Rossi. Quanto vi divide ancora?
«C’è differenza, certamente non siamo ai dettagli finali. Stiamo pensando di modulare la nostra offerta in modo tale da rendere i primi anni del contratto più in linea con il nostro budget. Aspettiamo risposte».
Restiamo sui numeri: cosa manca alla Roma per raggiungere il fatturato delle grandi?
«Lo stadio, solo quando ne avremo uno nostro potremo colmare il gap con Juventus, Milan e Inter. Nel frattempo, potremo solo aumentare i ricavi dallo sfruttamento del marchio. Ma per riuscirci, dobbiamo aumentare la competitività della squadra e tornare stabilmente nelle coppe europee. Sta qui la nostra difficoltà. I posti in Champions sono limitati e l’Europa League non offre la stessa vetrina. Io le riunirei in un’unica competizione, in modo da garantire posti sicuri ai Paesi più sviluppati».
È la Superlega europea già bocciata da Platini, che non vi ha aiutato nemmeno con il fair play finanziario…
«Il fair play è giusto, ma va corretto. Sacrosanto non spendere soldi che non si hanno, ma perché vietare investimenti che si possono coprire con aumenti di capitale?».
Il vostro da 50 milioni tarda ad arrivare. Anche qui problemi di cassa?
«Quante volte dobbiamo dire che gli azionisti americani hanno già prodotto tutte le garanzie necessarie? Ci sono passaggi tecnici da rispettare, la ricapitalizzazione sarà completata entro febbraio».
E lo stipendio da 1,2 milioni a DiBenedetto quando sarà accordato? Non è lo stesso che percepiva la Sensi?
«Anche qui, il Cda deve aspettare che si formi il comitato preposto agli emolumenti, che comunque riguardano tutto il consiglio».
A proposito di consigli, ne ha uno per Gianni Petrucci alle prese con l’organizzazione del tavolo della pace?
«Apprezzo il tentativo di chiudere una delle pagine più oscure del calcio italiano con una stretta di mano, ma se deve diventare un tavolo di lavoro allargato a più partecipanti, perché qualcuno sì e altri no?».
Chiudiamo col botto. Ci spiega la posizione della Roma in Lega? Dal sostegno alle grandi al ricorso col Napoli contro l’ultima decisione sulla spartizione dei diritti tv?
«Avevamo raggiunto un’intesa sul peso dell’audience che è stata modificata. Con il Napoli c’è sintonia, abbiamo bacini e fatturati simili. Quando ci siamo visti con De Laurentiis abbiamo posto le basi di un percorso comune per una nuova politica sportiva».
È un’alleanza contro le grandi del Nord?
«No, è un tentativo di modificare la governance del calcio italiano. Possiamo anche cambiare Beretta, un ottimo professionista che ha governato in un momento difficile, ma con le attuali regole il presidente non decide niente. Dobbiamo dare più poteri agli organi esecutivi. Questioni come la legge 91, gli stadi, la riforma dei campionati sono interessi comuni che vanno difesi dagli organi della Lega. Mentre oggi vengono lasciati ai singoli presidenti, che a volte si rivelano portatori di interessi particolari».
Ce l’ha con Claudio Lotito?
«No, per carità».
Gazzetta dello Sport – Alessandro Catapano