La Repubblica (M. Juric) – Inutile girarci attorno la Roma è Dybala. E Dybala e la Roma. Con il Feyenoord l’ennesima riprova. Nonostante una vistosa fasciatura alla gamba destra e un ritmo non certo da calciatore al massimo della forma. Ma tanto basta ai giallorossi per cambiare marcia e sentirsi più forti. E Mourinho sembrava già sapere tutto, soprattutto per la sua gestione. Niente maglia da titolare, ci servi a partita in corso.
E sono bastati 20’ all’argentino per indirizzare, ancora una volta, la partita. Con un guizzo ad un minuto dalla fine che ha pareggiato i conti contro un Feyenoord capace di annullare il gol di Spinazzola all’80’. Ma non aveva fatto i conti con la Joya claudicante. Che ha riaperto una partita che El Sharaawy e Pellegrini hanno chiuso trasformandola in goleada.
Non era partita bene: per un’ora Roma-Feyenoord era stata tutta spintoni, parapiglia e perdite di tempo. Provando, quando il pallone era in gioco, a non coprirsi e giocare a viso aperto. Riuscendoci molto bene, certamente meglio dell’andata. Il Feyenoord l’aveva preparata così, sul doppio binario del gioco e della tensione psicologica. Quasi come i suoi tifosi, spavaldi e provocatori divisi tra i pub della città e qualche indesiderato all’interno dello stadio. Una tattica che ha reso il quarto di finale di Europa League più simile a un incontro di lotta che ad una partita di calcio.
Di gioco poco, se non il miracolo Rui Patricio su tiro di Szymanski ad inizio partita. Botta e risposta arrivato nei primi minuti, con una Roma sfavillante, sospinta dai 67mila di uno stadio Olimpico completamente giallorosso tra sciarpe e bandiere. Sessantasettemila che hanno gioito, si sono disperati, hanno sperato. E poi è entrato lui, Joya di nome e di fatto.