La Repubblica (E. Sisti) – Adesso, a cose fatte, non siamo neppure troppi stupiti di ricordarci a memoria quasi tutti i suoi gol: 119. Tanti. Molti eccezionali. Edin Dzeko è stato un trascinatore insolito. Aveva ed ha un carattere forte, oppure al contrario è fragile ma si nasconde dietro una armatura convessa. E complessa.
In ogni caso non è sempre (stato) gestibile: neppure lui medesimo, verrebbe da pensare, sa bene cosa fare, in certe situazioni, laddove sale la tensione. Dzeko ha smesso di essere ufficialmente della Roma dopo la lite con Fonseca, quindi parliamo di Siviglia in Europa League nell’estate del 2020.Da quel momento il treno ha deragliato. Momenti sì, momenti no. Continue voci di cessione che diventavano, gradualmente, grida vendicative. Sensazioni scomode che, sempre gradualmente, assumevano i contorni di una palese e irreversibile incomprensione, tecnica ed umana.
[inline]
La vita di uno spogliatoio si misura col termometro della sopportazione reciproca. Non esiste, nel calcio, un’armonia vera e propria. Chi immagina rose e fiori si sbaglia di grosso. La differenza la fa il controllo dell’emotività e delle diffidenze. Se non si arriva a un patto si scolla tutto. Dzeko, con la sua apertura alare, sembrava poter raccogliere l’eredità di Totti. Ma né l’uno né l’altro avevano la stoffa per essere dei veri capitani. Troppo solisti per dirigere anche l’orchestra.
All’inizio Dzeko sembrò un acquisto sbagliato, 20 milioni buttati: ma come è possibile, quello del City e soprattutto del Wolfsburg è tutto qui? Ci mise del tempo per convincere la piazza del contrario. Nemmeno quel suo svettare su Chiellini fu sufficiente. Erano così disperanti i suoi errori sotto porta da richiamare alla memoria, non Balbo, non Batistuta, non Montella, ma tutti quei numeri nove giallorossi che sono passati alla storia passando dalla porta sbagliata, gente come Dahlin, Bartelt, Carew, Mido, Nonda, Fabio Junior, Adriano, Julio Baptista, Osvaldo, Borriello.
[inline2]
Ma Dzeko no, non poteva essere veramente l’ultima bufala. Furono duri quei primi mesi di attività. Si pensava che facesse comodo solo per la rima: con spreco. Poi la svolta. Un campione. Non uno da trenta reti a stagione, certo, ma uno capace di inventarsi un attacco sì, uno in grado di saper giocare dentro e fuori dall’area, di mettere al servizio della squadra tutte le sue conoscenze da trequartista.
Ora sappiamo che non se ne è andato ieri, ma mesi fa. Approdare all’Inter per una stagione in più di contratto, a 35 anni, può sembrare irriverente verso il suo ex club. Ma mettetevi un po’ nei suoi panni. Eticamente si può discutere, professionalmente, per quel che gli resta da giocare ad alto livello, forse no. Un gol che ci teniamo stretti: quello di sinistro al volo contro il Chelsea. Lì c’è tutta la sua storia di calciatore. Se stiamo vivendo da anni il dopo-Totti, con tutto ciò che ne sta conseguendo, speriamo di non dover anche iniziare a vivere il dopo-Dzeko. Sarebbero guai automatici.