Corriere dello Sport (M. Evangelisti) – Non stava giocando una partita di quelle che gli piacciono. Stava giocando una di quelle che sa di dover giocare, di quelle che sa giocare. Edin Dzeko in compagna della signora solitudine, come gli capita quando la Roma dimentica di vivere e si raggomitola nelle sue angosce. Ranger delle distese ostili, esploratore delle terre senza nome.
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Quando la serata è paludosa, senza luna e senza certezze, potete contare su di lui. Vederlo lì abbracciare l’aria e abbrancare palloni disperati dà l’illusione che persino abbastare la testa e buttare il gioco dall’altra parta abbia una ragione. Mancherà alla Roma, Dzeko. Se, com’è probabile, alla fine della stagione andrà via.
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Il gol nel momento esatto in cui è necessario, questo lascia Dzeko in eredità d’affetti. La rete numero 117 in giallorosso: la trentesima nelle coppe europee: 15 in Champions, 15 in Europa League e non crederete che queste valgano meno. Quella di ieri vale un miracolo, un biglietto della lotteria, una mano che ti afferra mentre cadi. “Due, tre passaggi e siamo arrivati in porta. Sono felice per Calafiori, decisivo alla fine di una stagione in cui ha disputato poche gare. Avremmo dovuto giocare diversamente, aspettare di meno, osare di più. Siamo stati fortunati, io sono stato fortunato. Eppure altre volte avremmo mollato. Questa volta no. Siamo alla pari con lo United. Divertiamoci, non capita tutti i giorni di andare all’Old Trafford“.