Diritti tv, Cairo: “Svolta o canale dei club”

Corriere della Sera (M.Sideri) – Una cosa a questo punto è sicura: l’anomalia non è il calcio italiano, come in molti negli ultimi anni hanno tentato di argomentare (passò alla storia chi lo paragonò alle popolari penne a sfera Bic laddove il calcio inglese era una stilografica Montblanc). L’anomalia gravitazionale che non fa rimbalzare bene il pallone ogni volta che si finisce a parlare di quanto vale sta in come sono stati gestiti i diritti tv delle partite finora, compresa — un po’ — anche la gara della serie A con tanto di flop fresco di appena 48 ore. La serie A può valere di meno della Premier League che, peraltro, ha industrializzato i diritti del calcio inglese già da anni, ma non un quarto come si dovrebbe evincere dalla pura sintesi matematica della giornata di sabato. Una cifra ridicola anche per gli agnostici del pallone e per gli amanti del badminton.

LA SVOLTA –  «È il momento della svolta, o individuiamo un nuovo sistema di vendita o ci facciamo un nostro canale. E comunque un dato è certo: il calcio italiano vale molto di più. Non solo di quello che è stato offerto ieri, anche di quello che prendevamo» ha detto ieri Urbano Cairo, presidente del Torino e anche di Rcs, editore del Corriere, parlando del clima che si respira in Lega. Dunque: o un cambio di metodo, che vorrebbe dire smetterla di volere indebolire le esclusive (vero succo economico della questione) parcellizzandole per canali ; oppure passare alla  gestione diretta del canale, imparando magari dagli errori che si fecero con il test ai tempi della Lega di Matarrese (a partire dal nome: «Gioco Calcio»). Per questo mai come in questo caso va compresa l’importanza e il peso della partita dei diritti, un elemento che finora è stato ampiamente sottovalutato (tranne che, bisogna riconoscerlo, da Marco Bogarelli). Peraltro oggi scade il termine per presentare le offerte per la Champions (stagioni 2018- 2021, dunque stesso triennio della serie A) che in passato è stata oggetto di attriti tra Mediaset e Sky e che dunque, sebbene del tutto separata come partita, è da seguire per capire gli umori. E anche per valutare quanto possa pesare sul calcio la diatriba tra Mediaset e Vivendi che, per inciso, controlla Tim. Per questo Cairo ha voluto ripuntare i fari sulla materia prima, allontanando l’attenzione dalle perturbazioni: «Il calcio è quella cosa che in America chiamano “killer application”, per cui tu che hai un prodotto grazie a questo enorme moltiplicatore di interesse lo vendi di più: quindi noi siamo in una botte di ferro». «Credo — ha aggiunto — che i diritti tv abbiano, come dimostrano i Paesi europei, e parlo non solo di Gran Bretagna e Spagna ma anche di Germania, un valore ben superiore a quello che per il momento abbiamo ottenuto come Lega. Per cui sono assolutamente sereno, ma non lo dico soltanto perché sono dalla parte di chi vende con altre 19 società. Semplicemente, è così». Il fatto è che sulla valorizzazione della serie A finora ha prevalso un contesto sfavorevole con un «commissariamento doppio»: quello della Figc sulla Lega, ufficiale, e anche quello semi-ufficioso dell’Antitrust che non fidandosi di fatto dell’advisor Infront, visti i trascorsi, ne vuole rivedere tutti i passaggi dei bandi di gara a priori. Ma il risultato di sabato ha mostrato che a favorire la pluralità non sempre si aiuta la concorrenza, quella degli economisti che spinge i prezzi all’insù.

LA SOLUZIONE – Il tempo c’è per trovare una soluzione ma non poi così tanto. Per buona parte delle squadre di serie A la certezza degli incassi dei diritti sulle tre stagioni 2018-2021 è fondamentale per la rinegoziazione con le banche sulle linee di credito (che si fa generalmente a fine anno). È questa una delle leve che seppe usare la vecchia Infront di Bogarelli, che attende, proprio entro la fine del mese, la decisione del Tribunale del riesame sulla misura cautelare chiesta dalla procura. Tra debiti, incertezze e lettere di patronage che ormai difficilmente potranno convincere qualcuno, gli incassi dei diritti sono la vera garanzia delle banche che finanziano il pallone (senza contare che anche per i big ci sono nell’aria bond e aumenti di capitale). Per certi versi l’incertezza potrebbe influenzare, almeno psicologicamente, qualche mossa del calciomercato estivo.

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