Arturo Diaconale, direttore della comunicazione della Lazio, tramite il ‘Corriere della Sera‘ ha voluto rispondere alle parole di Paolo Franchi, che aveva definito i biancocelesti un «accidente filosofico». Queste le sue parole:
“Ma può un tifoso giallorosso tifare Lazio nella speranza che la squadra biancoceleste faccia lo sgambetto alla Juventus per spianare alla Roma la strada verso lo scudetto? Paolo Franchi dice di no. Perché essendo la Lazio, per un tifoso romanista culturalmente avveduto od anche ignorante come una zucchina, una entità filosoficamente inesistente o un mero accidente. Chi fa il tifo per la Roma non può e non deve sperare che un qualche vantaggio possa derivargli da un accidente per giunta inesistente. Sono perfettamente d’accordo con Paolo Franchi. Per la stessa ma opposta ragione. Un romanista non può e non deve sperare in un qualche aiuto diretto ed indiretto da accidentali ed inesistenti parenti così come un laziale non deve in alcun modo essere affascinato dall’idea di poter fare un dispetto alla cugina che tanto lo ha in disprezzo tagliandosi gli attributi e lasciandosi prendere a pallate dalla Juventus nel suo superbo e tanto invidiato stadio di Torino. Ciò che vale per il tifoso romanista vale anche per quello laziale. Perché se per il primo la Lazio è un accidente filosofico, per il secondo la Roma è un incidente storico. Cioè il frutto di una esigenza di regime ( quello di certo detestato da Paolo Franchi) volto a creare una concorrente proletaria e popolare alla squadra, la Lazio, che per prima aveva introdotto il calcio nella Capitale e che aveva il suo radicamento nella borghesia delle professioni e del commercio della città”.
“Ora possono un accidente filosofico ed un incidente storico scambiarsi il tifo in occasioni particolari segnate dall’interesse contingente dell’una o dell’altra? Io dico di no. E non per anti romanismo viscerale destinato a bilanciare l’anti lazialità altrettanto viscerale. Ma perché, almeno per quanto riguarda la Lazio, l’esigenza primaria di chi ha la consapevolezza della sua primazia storica nella Capitale, deve essere quella di badare solo a se stessa ignorando totalmente il percorso dell’«incidente». Mi rendo conto che questa mia considerazione ribalta anni ed anni in cui una delle poche soddisfazioni del laziale era quello di fare comunque un dispetto alla concorrente imposta prima dal regime e poi dalle banche. Ma credo che sia arrivato il tempo di uscire da una sorta di subalternità durata per troppo tempo ed incominciare a fissare il principio del “prima la Lazio” ispirato all’obbiettivo della riconquista della primazia, questa sì storica, nella città. Non è un processo semplice. Ma, al di là dell’incidente di Torino che nasce però proprio dalla subalternità psicologica di una squadra assuefatta al masochismo di una tradizione auto flagellante da superare, questo processo è ben avviato. I favori, la Lazio, li deve fare solo a se stessa. Non per egoismo ma per consapevolezza del proprio lignaggio. Chi nasce primo deve tornare ad essere primo. D’altro canto cosa fece padre Romolo prima di effettuare il solco sul Palatino? Aspettò il volo dell’aquila!”.