Corriere dello Sport (F. Splendore) – Trovarsi, perdersi e ritrovarsi ancora. E ancora. Alla fine coprendo oltre vent’anni – che poi fanno un bel pezzo di vita – e sono serviti a costruire un rapporto di stima grande, fino all’amicizia. Senza mai abusare troppo di un termine a cui gente come loro, con valori umani spiccati, dà un peso specifico rilevante. Loro sono Eusebio Di Francesco e Daniele De Rossi.
Il filo della vita li ha uniti prima da giocatore (giovanissimo) a giocatore (compiuto); poi da giocatore (più consolidato) a team manager (era la Roma del primo Spalletti), quindi da capitano ad allenatore. E ora da tecnico a tecnico contro. Vena, cuore e 4-3-3. Di questo percorso alla luce del sole, forse solo un pezzo è rimasto nell’ombra: avrebbero potuto sedere sulla stessa panchina se, tra il 2019 e il 2021, De Rossi avesse ceduto a più di qualche invito esplicito fatto da Di Francesco per portarlo nel suo staff come secondo.
Il filo conduttore di questi vent’anni tra Di Francesco e De Rossi è stato uno, la Roma. Il rapporto vero, probabilmente, si è costruito più nel terzo incontro ravvicinato, quando uno allenava e l’altro stava chiudendo la parabola da giocatore, che negli altri pezzi del cammin della loro vita, a partire dal primo, quando erano entrambi sul campo, ma se uno stava cominciando il suo viaggio – nemmeno pensando alla favola da Capitan Futuro – l’altro si metteva lo scudetto della Roma sul petto e salutava.
Nella stagione 2018-2019, si era capito benissimo che per De Rossi sarebbe stata l’ultimo anno alla Roma e forse in assoluto da giocatore (in questo caso stop rinviato solo di qualche mese per togliersi il sogno-sfizio del Boca). Dunque epilogo abbastanza scritto per DDR e non per DiFra, reduce dalla semifinale Champions del 2018 e apparentemente lanciatissimo. Ma le cose precipitarono e arrivò l’esonero. Lui e Daniele però avevano già cominciato a parlare, forti di un grande affiatamento professionale: De Rossi era il regista insostituibile, l’uomo spogliatoio, il capitano.