Corriere dello Sport (A. Giordano) – Affinché non ci fossero dubbi, al trentesimo minuto d’una serata tutta per lui, Diego Armando Maradona è sceso in campo, ha poggiato la sua “mano de Dios” sulla testa di Lorenzo Insigne e poi ha ispirato quel destro affinché disegnasse una parabola che lui e però a modo suo costruiva con il sinistro. Napoli-Roma è una miscela stordente che impiega un po’ per decollare, poi esplode fragorosamente in un calcio double face, in cui è racchiuso tutto ciò che Gattuso s’aspetta e nulla che Fonseca aspetti. Quel 4-0 costringe la Roma a dondolare tra i pensieri spettinati di 90′ che si trasformano in un incubo: senza già un bel po’ di gente, e con Mancini e Veretout adagiati nell’intervallo sul lettino del San Paolo, a Fonseca rimane semplicemente il pallore d’una partita persa non solo negli scontri diretti ma in qualsiasi angolo di un campo diventato enorme. Nelle sue fattezze antiche, il Napoli c’è stato bene, e la Roma ha deambulato, abbondata complessivamente da tutti, per un po’ sostenuta da Mancini, disperatamente presente in Spinazzola, mentalmente spenta e racchiusa solo in una volée alta di Cristante. È stato troppo Napoli, svelto anche nel pensiero, e la Roma, invisibile, è sfilata dentro un tormento gigantesco, con strafalcioni nella transizione di Mario Rui-Insigne, ma anche con omissioni: la presa scivolosa di Mirante che vale il 3-0 di Mertens e l’incapacità di opporsi a Politano, dribbolmane per un istante fosforescente nel 4-0. Il Napoli si è sbarazzato delle sue paure, ne ha approfittato di quelle praterie, della dissolutezza della Roma: aveva Diego con sé e se n’è accorto subito.