Il Tempo – Finalmente Ago a Trigoria

Capitano, mio capitano, l’ovazione degli studenti per Robin Williams, il loro professore nello splendido film “L’attimo fuggente”, la stessa mutuata dal popolo giallorosso per celebrare Agostino Di Bartolomei. Capitano storico, la fascia onorata dal secondo scudetto della leggenda giallorossa, un ricordo e un rimpianto che nulla e nessuno potranno mai cancellare. Da oggi, i ragazzi della Primavera avranno uno stimolo in più quando giocheranno in quell’impianto che la nuova Roma ha voluto intitolare ad Agostino. Un un gesto nobile, ma anche un gesto riparatore nei confronti di un incomprensibile oblio verso uno dei giocatori più rappresentativi della storia romanista, un ragazzo strappato da un destino crudele all’affetto di quanti lo avevano adorato: con quella maglia, ma anche dopo, quando le vicende della vita lo avevano indotto a scelte diverse.

Puntuale e sapiente interprete di una delle tante invenzioni da commedia dell’arte che Nils Liedholm era uso collezionare, come quando agli avversari del Milan proponeva la suggestione di Maldera infallibile cecchino. Così Agostino venne promosso libero di difesa, in realtà aggiungendo a un già sublime centrocampo, Falcao, Ancelotti e Prohaska, un maestro delle geometrie, ma anche dei lanci lunghi di chirurgica precisione. Ultimo presidio della difesa era naturalmente Vierchowood, ma intanto il capitano si era assicurato ampia libertà d’azione, quella che avrebbe avuto un peso determinante nella corsa al secondo scudetto, quarantuno anni dopo il primo tricolore, negli anni bui della guerra.

Per i compagni di squadra, Agostino era come un saggio fratello maggiore, anche per chi aveva qualche anno in più, era l’immagine della maturità fin dalle prime apparizioni, una calma frutto di una solida educazione familiare e di quelle propensioni che gli avevano fatto apprezzare scelte inconsuete nel mondo del calcio, l’amore per le arti figurative e per l’architettura. Qualcuno lo definiva musone, per la sua abitudine di sottrarsi ai tavoli da gioco, nei lunghi ritiri, per sfogliare pagine e pagine di libri. Ma quando era con gli amici, della cui cerchia sono stato onorato di far parte per tanti anni, era in realtà un ragazzo in vena di scherzi e sorretto da un vivace senso dell’umorismo. Marisa, la splendida compagna, e il figlio Luca, ne hanno custodito la memoria con infinito amore, ma anche con straordinaria dignità, i torti subiti lasciati al giudizio degli altri, perfino quando neanche il ricordo era stato onorato secondo i meriti. A loro va un abbraccio carico di affetto sincero.

Il Tempo – Gianfranco Giubilo

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