Anche questo accade, nel calcio capitolino che vive di grandi passioni ma, purtroppo di molto rari momenti di autentica esaltazione. Accade che la stracittadina diventi, per due volte l’anno (salvo sporadiche parentesi di Coppa Italia) la madre di tutte la partite. Una constatazione, che però non trova accenti consolatori. Perché altrove, come a Milano dove pure la rivalità delle protagoniste è molto accentuata, si vive come un episodio importante e significativo, ma sempre in prospettiva di una rincorsa ai vertici delle graduatorie nazionali.
Qui a Roma il discorso resta affascinante, però riduttivo, quasi mai nella storia il derby capitolino ha rivestito un interesse particolare sulla strada che porta alle grandi conquiste, sugli scudetti laziali la rivalità tra le opposte sponde del Tevere non ha prodotto effetti significativi, peggio ancora per le cavalcate tricolori dei romanisti, quando il derby non era in calendario perché i rivali tentavano la risalita dalla serie inferiore. Poi sono tornati, dopo parentesi gloriose, gli anni della mediocrità, quel vivacchiare ai margini che avviliva perfino il livello delle attese, per quelle stracittadine troppo spesso concluse da malinconici pareggi. A dare ossigeno a classifiche poco esaltanti, a consentire al tifo trepidante di soffrire l’oltraggio dello sfottò, unico momento di effimera esaltazione da incastonare nell’ennesima stagione al minimo dei giri.
Negli anni più recenti, che in più di un’occasione hanno visto la Roma all’inseguimento della meta più prestigiosa, il derby si era un pochino sprovincializzato la piccola ambizione dei biancocelesti diventava quella di avvilire la grande ambizione dei rivali, mai però che si presentasse l’occasione per un comune intento di obiettivi privilegiati. Nel campionato scorso, le parti si erano invertite, le difficoltà della Roma si scontravano con la classifica perfino sorprendente di una Lazio che sarebbe rimasta in zona Champions fin quasi alle battute conclusive.
Ma non ci sarebbe stato modo di sfuggire alla catena di negatività che si era innescata, altre due sconfitte in campionato da aggiungere alle tre collezionate in precedenza, un record passivo difficile da digerire, anche perché qualcuno dei trionfi romanisti non era stato limpidissimo. Ecco dunque come i clamori che accompagnano il derby vengono amplificati oltre misura dall’umore delle tifoserie, non più un episodio di giusta e accettabile rilevanza sportiva, ma quasi un punto focale della stagione, quali che siano le influenze sul bilancio generale.
Un esempio che illustra in modo eloquente questa situazione romana viene dall’ostracismo decretato da gran parte della tifoseria laziale nei confronti di Reja, ignorato il lusinghiero piazzamento in campionato e la lunga posizione di privilegio nella parte alta della classifica, pollice verso senza attenuanti per le sconfitte nelle stracittadine. L’analisi preventiva di una partita dovrebbe basarsi su considerazioni di ordine squisitamente tecnico, che in questo caso vengono sminuite da tutta una serie di fattori, primo tra tutti l’assoluto rifiuto della razionalità da parte di questa sfida, nella quale il ruolo di favorito viene ritenuto sgradito. Per quanto possa valere, è innegabile il vantaggio laziale di poter schierare una formazione nettamente più collaudata rispetto a quella rivale, in più con l’apporto di due nuovi attaccanti di grande valore come Klose e Cisse. La Roma è tuttora in piena fase di ricercare un’identità in tempi ristretti ma ha sicuramente dalla sua la serenità dei nuovi arrivati di fronte alle implicazioni psicologiche di un derby, la Lazio sentirà la pressione di dover invertire una tendenza negativa. Non ci sono favoriti.
Il Tempo – Gianfranco Giubilo
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